Li riempiamo di giochi, demandiamo ad altri l’educazione, rinunciando al ruolo impegnativo di educatori/maestri del nostro cucciolo. Parliamo di educazione ma in realtà pensiamo di addestrarlo a: non tirare al guinzaglio, a non saltare addosso, a non rubare il cibo, a dare la zampa, magari a fare la guardia, ad obbedire prontamente ai comandi; ci attrezziamo con una serie di giochi: kong, treccia, palline, copertina. Tanti strumenti/attrezzi poche idee, creatività assente. Amiamo insegnargli a fare gli esercizi a comando, con l’idea di dare una “istruzione” senza avere consapevolezza che al contempo lo educhiamo (nel bene e nel male), ma non pensiamo che mentre “addestriamo” stiamo anche educando.
Durante le attività di “addestramento”, infatti, il cucciolo fa esperienze di conoscenza del mondo, delle cose animate e di quelle inanimate, si ha la costruzione delle rappresentazioni mentali del “suo” mondo per conoscerle e per riconoscerle ogni volta che si ripresentano, ma sta imparando anche come si sta nel mondo.
Chiediamo all’educatore e al veterinario comportamentalista di fare cose che dovremmo fare noi, proprietari, fin dal momento in cui il cucciolo arriva in casa. L’educazione spesso la consideriamo come prestazione da ottenere da un oggetto, il “cucciolo”, ci angosciamo a insegnargli a fare la pipì fuori, a non distruggere l’arredo di casa, ma più per un nostro interesse che per un beneficio del cucciolo.
In realtà, non capiamo che non si può istruire senza educare, e non si può educare senza istruire. Educazione e istruzione sono intimamente connessi. Nell’esperienza di apprendimento (istruzione) si creano esperienze di come stare nel mondo (educazione). Le conoscenze che diamo al cucciolo con l’istruzione rischiano di essere sterili applicazioni di tecniche/prassi di apprendimento finalizzate a ottenere una prestazione da un oggetto, senza contemplarne la soggettiva capacità di stare al mondo.
Noi proprietari siamo gli educatori-maestri dei nostri cuccioli al di là dell’intervento dell’educatore o del veterinario comportamentalista, ma dobbiamo sapere cosa insegnare e farlo con dedizione e trasporto, dobbiamo inoltre evitare i sentimentalismi ed essere empatici verso un soggetto dotato di un modo esclusivo di stare nel mondo, ma dobbiamo anche ritagliare l’apprendimento in base al profilo cognitivo e comportamentale del discente e al contesto, ravvivando l’azione didattica con creatività. Senza questi tre elementi: conoscenza di cosa insegnare, empatia verso chi deve imparare, e metodo di come insegnare, l’azione pedagogica verso il discente si infrange nell’indifferenza, nell’assenza di motivazione e nel rifiuto dello stesso.
Obiettivo pedagogico
Questi passaggi sono fondamentali per centrare l’obiettivo pedagogico della zooantropologia: quello di costruire una relazione appagante tra cane e proprietario. Essa viene raggiunta se si evitano gli automatismi di un’istruzione senza educazione, quanto la mancanza di competenze di un’educazione (buona o cattiva) senza istruzione. Solo se il proprietario si dedica alla psiche del cucciolo e alla costruzione di una relazione fondata sul dialogo e sulla fiducia, potrà sviluppare una personalità equilibrata senza eccessi né carenze, capace di stare nel mondo, non semplicemente esposto, bensì immerso con i suoi sensi e col suo intelletto per la maturazione di un proprio mondo interiore.
Un processo educativo, quindi, si caratterizza per il suo carattere evolutivo portato avanti con continuità e coerenza con l’accortezza di avere ben presente la variabilità delle fluttuazioni individuali delle singolarità.
Gaspare Petrantoni
Medico veterinario comportamentalista