Per essere felice, al cane moderno servirebbe davvero poco: pasti regolari, una casa dove abitare e un proprietario che ogni tanto gli permetta di fare il cane! A primo impatto verrebbe da dire: “Niente di più banale e semplice”. Invece, analizzando a fondo la quotidianità del cane urbano, dovrebbe sorgere il dubbio che la realtà dei fatti sia molto meno semplice di quanto si creda. Sicuramente per la soddisfazione delle prime due necessità, i cani non hanno grossi problemi: salvo che non si tratti di cani randagi, pasti sicuri e un’abitazione confortevole l’hanno tutti! L’asino casca quando il cane sente il bisogno di “fare il cane”. Voler fare il cane è una legittima aspirazione del nostro amico a quattro zampe, ma purtroppo non viene quasi mai riconosciuta, né rispettata, né approvata dal proprietario medio, che, di fatto, non ne concede il benché minimo appagamento. Sicuramente complice di questa grave mancanza è la vita sociale umana, che con le sue regole, le sue limitazioni, le sue incoerenze, le sue richieste, le sue dicotomie, le sue ristrettezze, offre pochissime opportunità ai nostri amici a quattro zampe di “essere cani” ma, in questo caso, la carta decisiva la gioca la profonda inadeguatezza del proprietario medio che, in buona fede o per comodo, crede che il cane sia un’entità amorfa, totalmente assoggettabile all’arbitrarietà emotiva, affettiva, etica e culturale del relativo umano di appartenenza e che, quindi, reputa il cane un’appendice antropica completamente priva di necessità tipicamente proprie, individuali e specificatamente diverse da quelle umane. Da questi presupposti consegue che spesso i cani che abitano le nostre case sono ridotti a veri e propri surrogati antropologici al servizio delle fragilità dell’uomo, dei suoi vuoti affettivi e/o delle sue ambizioni. Cani sui quali riversare aspettative utopiche (attività tipicamente umana), per poi puntualmente lamentarsi se le risposte che ne derivano non sono adeguatamente confacenti. Cani umanizzati oltre ogni ragionevole misura, che dopo un po’ perdono la loro identità canina e che, a causa di ciò, passeranno la loro vita sospesi tra quello che non si ricordano più d’essere e quello che non potranno diventare mai. Cani non più cani, che hanno perso la loro identità di specie senza peraltro acquisirne in cambio un’altra, diventando così cani disadattati, stressati e denaturati che manifestano il loro disagio esistenziale attraverso comportamenti isterici, fobici, compulsivi o aggressivi, o cani che, più semplicemente, si rassegnano passivamente al loro nuovo ruolo di “pelouche scalda giornate avverse”, cui l’uomo moderno ricorre in caso di bisogno. Cani ai quali, per ignoranza del loro mondo, si nega, di fatto, la soddisfazione di quei bisogni e quelle necessità che, pur non potendosi definire primarie, sono fondamentali per il mantenimento della loro identità canina e del loro benessere integrale. Per fortuna, nello studio dell’essenza canina, qualche progresso è stato fatto e, passando da iniziali osservazioni puramente empiriche a più recenti dettagliate valutazioni scientifiche, siamo arrivati a saperne molto di più sulle aspirazioni e sulle reali esigenze del cane. La speranza è che queste nuove scoperte dipingano una nuova immagine del compagno che ci sta al fianco, con un ritratto più nitido e più vicino alla realtà di quello sbiadito e approssimativo di cui disponevamo fino a oggi. Adesso, per esempio, sappiamo che il cane, oltre al cibo e all’alloggio, ha bisogno di: figure valide di riferimento cui affidarsi con fiducia (per sentirsi al sicuro); ambiente famigliare sereno ed emotivamente stabile nel quale vivere (per evitare stress negativo); chiarezza, coerenza e assertività nella comunicazione (per evitare confusione e fraintendimenti); considerazione (per sentirsi apprezzato); appartenenza a un gruppo sociale strutturato (per farlo sentire membro di un gruppo sociale di valore); regole, routine, ruolo e lavoro da svolgere (per dargli sicurezza e per farlo sentire utile); gioco, svago e attività esplorative (varie attività che comprendano anche l’appagante uso del fiuto); interazioni sociali intraspecifiche (per l’esercizio del linguaggio canino e delle relazioni); socializzazione precoce e continua (per farlo crescere equilibrato e sereno), stimoli ambientali (per contrastare la noia). Ad ognuna di queste necessità si potrebbe dedicare un intero articolo, ma per questioni pratiche di spazio, vorrei parlare della primaria necessità del cane che è trascurata sin da subito: la socializzazione precoce con i propri simili e con l’ambiente, in altre parole l’esposizione del cane sin dalla tenera età a tutti quegli stimoli sociali e ambientali che andranno a costituire la trama della sua intera esistenza canina. Poiché la socializzazione con l’ambiente è direttamente collegata alle uscite di casa, ed è già stata ampiamente trattata, più dettagliatamente vorrei parlare del bisogno d’intrasocialità del quattro zampe. Il cane è un animale molto sociale, per cui le interazioni con gli individui della sua specie sono per lui una necessità fondamentale. La base di una vita sociale sana ed equilibrata è costruita sulla corretta comunicazione attraverso il linguaggio. Una volta uscito dalla cucciolata d’origine, per imparare tutte le sfumature della lingua, per affinare la comprensione dei vari linguaggi, per mantenere la capacità di comunicazione e d’interpretazione innata occorre che il cucciolo si eserciti. In ambito d’interazioni intraspecifiche (con i propri simili) i risultati migliori si ottengono cominciando a esercitarsi da subito. Troppi proprietari danno poca importanza alla socializzazione precoce, non credendo che proprio la possibilità di interagire (senza grossi traumi) con cani diversi da parte del cucciolo, gli offrirà le maggiori garanzie di sviluppare le sue competenze sociali in maniera autonoma per diventare un adulto equilibrato nelle relazioni con gli altri cani. La mancata socializzazione o la socializzazione scarsa o errata produce danni che si manifestano quando poi il cane diventa adulto. Troppo spesso vediamo cani passare la loro intera vita tenuti al guinzaglio, perché incapaci di rapportarsi educatamente con i propri simili. Cani che non sopportano nemmeno la vista di altri cani in transito, tanto da prodursi in performances molto aggressive, difficilmente controllabili da parte del proprietario. Cani propensi alla zuffa, cani attaccabrighe o al contrario cani estremamente fobici o remissivi. Cani comunque disadattati! Ѐ vero che sul territorio ci sono pochissime strutture sicure, dove poter fare incontrare i cani tra di loro in situazioni di sufficiente sicurezza, ma è altrettanto vero che a volte, per mancanza di voglia o per eccessiva paura del proprietario di ipotetiche zuffe o aggressioni, questo compito non è adempiuto apposta. Per la mancanza di voglia c’è poco da fare, tranne ricordare al proprietario quali sono i propri doveri verso il cane, ma per quanto riguarda la paura si può fare molto. Per esempio, si può innanzitutto ricorrere all’aiuto di una figura professionale che aiuti il proprietario a gestire in sicurezza le opportunità sociali che offre l’ambiente urbano. Infatti, tra le competenze dell’educatore cinofilo moderno dovrebbero rientrare questi compiti: insegnare al proprietario come garantire al meglio la socialità del proprio cane fin da cucciolo (individuare aree protette, sufficientemente sicure e prive di potenziali pericoli); insegnare al proprietario come riconoscere le situazioni di relazione che potrebbero essere realmente pericolose per il cucciolo, quindi imparare ad evitarle (linguaggio canino, posture e mimiche dei cani, segnali); insegnare al proprietario a non essere egli stesso con il suo comportamento la causa scatenante situazioni di pericolo (atteggiamenti iper o ipo protettivi, comportamenti incoerenti, stress, ecc.); insegnare al proprietario a non sottrarre il cucciolo da ogni minimo disagio che deriva da un gruppo caotico o stressante, perché in questo modo non si favorisce la crescita autonoma e l’autostima del piccolo, come, d’altra parte, insegnare a non mandare il cucciolo allo sbaraglio senza conoscere gli altri cani e il loro comportamento e le loro possibili reazioni (capacità di valutazione obiettiva delle situazioni); insegnare al proprietario a essere calmo e coerente per non mandare in apprensione il cucciolo; insegnare al proprietario a diventare una valida figura di riferimento cui affidarsi con fiducia (qualità di relazione). Una volta imparate queste competenze, il proprietario potrà cominciare, senza preoccupazioni, a esporre il cucciolo alle prime interazioni sociali con i propri simili, scegliendo dapprima cani “facili” con cui farlo rapportare per poi passare, man mano che il cucciolo cresce e affina le sue capacità di relazione, a incontrare cani dal carattere e dai comportamenti sempre più variegati e coloriti, purché senza eccessi pericolosi. So che non è facile, ma con un po’ di esperienza e buona volontà si ottengono ottimi risultati. In questo modo, il nostro cane si eserciterà nella comunicazione intraspecifica, imparerà il bon ton canino e crescerà in modo equilibrato e socievole. Tutto ciò dovrebbe permettere sia al cane sia al proprietario una buona convivenza nella società civile. Dico dovrebbe, perché non è detto che un cane che abbia imparato il bon ton sia sempre disponibile ad applicarlo E qui subentra un parametro, secondo me, fondamentale, che fa la differenza tra un cane affidabile e un cane imprevedibile: in altre parole, la “qualità di relazione” cui accennavo un poco più sopra. La buona qualità di relazione è un’altra di quelle cose pressoché sconosciute dal proprietario medio, ma importantissima, che determina il fatto di avere un cane, educato, sereno, privo di stress e ottimamente disposto a seguire quello che gli sarà indicato. Infatti, in ambito di “socialità controllata”, la buona qualità della relazione che si ha col proprio cane rende il nostro amico a quattro zampe allegramente propenso ad applicare le regole del bon ton canino imparate da cucciolo, sempre, in qualsiasi situazione e con qualsiasi cane, mentre una buona qualità di relazione può sopperire o diminuire, in parte, i danni di una scarsa o errata socializzazione intraspecifica. Perché? Perché un cane che ha una buona qualità di relazione col proprietario: primo, sa benissimo quale posto occupa nel gruppo sociale, quindi la sua posizione di collaboratore lo predispone a mettersi “a disposizione” e non “a imposizione”; secondo, è un cane sufficientemente sereno da essere privo di velleità bellicose e di reazioni molto fobiche; terzo, è un cane che ripone fiducia in noi, quindi ben disposto a seguire le nostre direttive in ogni situazione. Una cattiva qualità di relazione, invece, produce disagi, incomprensioni, confusione, stress che possono portare anche il cane ottimamente socializzato ad avere, in talune circostanze o in particolari situazioni, reazioni aggressive o “maleducate” sia verso i propri simili sia verso altri soggetti. Sebbene la socializzazione precoce sia fondamentale per il sano sviluppo caratteriale e comportamentale del cane, per essere ottimale, non può prescindere da una buona qualità di relazione col proprietario. La buona qualità di relazione è come una tela che si costruisce giorno per giorno attraverso la comunicazione e le attività svolte insieme, che pretende però dal proprietario una serie di caratteristiche sostanziali che lo rendano una figura di riferimento affascinante e fidata alla quale il cane potrà rivolgersi fiduciosamente e sempre! Le più semplici? Affidabilità! Coerenza! Sicurezza! Chiarezza! Amorevolezza! Responsabilità! Fascino! Queste, invece, sono le cose principali di cui un cane non avrebbe bisogno: non dovrebbe sentire su di sé responsabilità di nessun genere, non dovrebbe essere oggetto di aspettative superiori alle sue capacità, non dovrebbe avere ruoli o compiti di controllo, non dovrebbe colmare vuoti tipicamente umani, non dovrebbe avere “niente da fare”, non dovrebbe ricevere “tutto” senza dare in cambio niente, non dovrebbe essere il “mio bimbo peloso” (con tutto ciò che consegue da questa visione del cane), non dovrebbe sopportare umane emotività perniciose, non dovrebbe essere oltremodo denaturato. Per avere un cane felice di essere cane, sempre, in ogni situazione o circostanza, c’è molto da lavorare, ma se ci s’impegna a conoscere e rispettare le sue vere necessità, i risultati arrivano.