I motivi che portano a prendere un cane, a sceglierlo di una determinata razza o tra la varietà indefinita dei meticci, riflettono lo spettro dei desideri, delle aspettative e delle ambizioni ma anche delle emozioni e dei pensieri che muovono la psiche umana.
La valutazione critica del comportamento del cane e delle relazioni con il proprietario, da un lato svela la fragilità della psiche umana, dall’altro lato mette a nudo le derive antropomorfiche e narcisistiche che sminuiscono il ruolo del cane come compagno, amico o partner e lo relegano nelle gabbie comportamentali del cane-bambino, del cane-guardiano, del cane-strumento, salvo poi lamentarsi dell’incapacità del cane di sapere stare con gli altri cani e con le persone o dell’irruenza o di essere disobbediente.
In pratica, i proprietari hanno una visione autoriferita del comportamento del proprio cane, nel senso che deve soddisfare le proprie aspettative senza che nulla gli debba essere insegnato: non deve sporcare in casa, non deve saltare addosso alle persone, non deve abbaiare, non deve tirare al guinzaglio, non deve manifestare aggressività e cosi via.
Il proprietario si aspetta cioè che il cane adotti comportamenti socialmente accettabili, senza avere la consapevolezza della necessità di un proprio impegno attivo nell’educazione e nell’istruzione del proprio cane, anzi adottando modelli comportamentali che spesso impediscono il processo educativo integrativo. Così si cresce, ad esempio, il Chihuahua – l’eterno cane-bambino – in una campana di vetro per senso di iper-protezione, che lo priva di ogni sorta di esperienze sociali e quindi della possibilità di crescere, tranne poi irritarsi del fatto che da adulto abbai a qualunque cosa o essere si avvicini o al minimo rumore che turbi la propria quiete.
Il profilo psicologico del proprietario, quindi, ha un peso importante nella definizione dell’assetto psicologico e comportamentale del proprio cane e nella maggior parte dei casi rappresenta una concausa, se non una causa fondamentale, dell’insorgenza di problemi comportamentali ascrivibili a deficit educativi o nelle situazioni più gravi a stati patologici mentali.
L’aspetto più interessante e meno noto del processo educativo riguarda quello che il proprietario fa e come lo fa col proprio cane fin da cucciolo, ma anche i suoi pensieri e le sue emozioni entrano in gioco quando se ne prende cura o quando interagisce con esso.
Emozioni, pensieri e comportamenti del proprietario sono assimilati dal cucciolo, che li acquisisce come esperienze che diventano modelli comportamentali consolidati nell’adulto, perché si sedimentano nella memoria implicita del cucciolo, che è quella che si forma per prima e che definisce gli schemi mentali come costituenti la personalità del cane e, quindi, maggiormente resistenti ai cambiamenti.
Quando questi modelli comportamentali risultano fastidiosi, questo di solito succede quando il cane diventa adulto, il proprietario pretende di modificarli in poco tempo, utilizzando di solito metodi punitivi.
La Terapia Cognitivo Comportamentale (TCC) ha lo scopo di produrre nel cane tale cambiamento, che tuttavia non può avvenire senza la piena consapevolezza del proprietario di modificare il proprio comportamento. Non è strettamente necessario tuttavia che modifichi del tutto il modo di pensare il proprio cane, può anche continuare a pensarlo “un bambino”, ma un bambino che tuttavia non ha più bisogno di una costante protezione, ma di crescere, di arricchire il suo mondo sensoriale di esperienze sociali positive affinché possa definire un profilo identitario arricchito ed equilibrato.
Un percorso di TCC è complesso, irto di ostacoli e di fasi di arresto, a causa delle resistenze del proprietario dal momento che un modello comportamentale – sia quello del cane, ma soprattutto quello del proprietario – non si può modificare in poco tempo.
In un primo tempo si modificano i comportamenti e successivamente le rappresentazioni mentali del cane e l’immaginario dei proprietari.
Gaspare Petrantoni
Medico veterinario comportamentalista