Credo ci siano parecchi fraintendimenti ed equivoci riguardo al concetto di “cane educato”. Vogliamo partire dal significato etimologico della parola educare per cercare di fare un po’ di chiarezza. Educare da educere, ovvero tirar fuori. E cosa c’entra questo con obbedienza, risposta ai comandi e quant’altro? Apparentemente niente. In realtà, educare il proprio cane significa proprio creare i presupposti per lo sviluppo delle facoltà mentali e comportamentali, riconoscendo al cane una propria capacità cognitiva autonoma. E in questo consiste, a mio parere, l’educazione del cane, ovvero nello sviluppare e aumentare le sue competenze, in maniera da renderlo capace di affrontare le più diverse situazioni nel rispetto della sua sfera emotiva. In questo modo, il cane non subirà in maniera passiva, supina e magari ruffiana i comandi, ma sarà l’artefice del suo essere nel contesto ambientale in cui potrà partecipare in maniera attiva e consapevole.
L’obbedienza del cane “educato” consiste nel saper cogliere e imparare quanto noi saremo capaci di chiedergli. La risposta meccanica fa apprendere al cane comportamenti privi di valore funzionale, la sequenza comportamentale resta astratta. Viceversa nell’educazione assisteremo a una sequenza comportamentale che corrisponde ad acquisizioni/apprendimenti intesi a migliorare la qualità della sua vita sociale e relazionale.
L’obiettivo dell’educatore è di fornire gli strumenti idonei, perché una persona che si trovi nell’invidiabile circostanza di vivere assieme a un cane possa instaurare con lui una relazione profonda, per cui gli stessi problemi vengano avvertiti e affrontati come facenti parti della relazione stessa.
IL MIO MODELLO: UN “CANE DA VIVERE”
Credo che possedere un cane debba avere un’importante valenza sociale. Avere un cane non significa relegarlo a un ruolo marginale, oggetto del minimo delle sue richieste gestionali. Avere un cane significa saper costruire un profondo legame relazionale fatto di scambio e condivisione. Un cane è un universo di emozioni che noi dovremo saper cogliere e accogliere. In questo modo, la gestione sarà un’esperienza di vita comune, mutualmente appagante. Avere un cane significa saperlo e poterlo vivere a fondo in tutto ciò che riesce a dare…
Il cane ci ha consegnato la sua vita e il suo bisogno di organizzazione. Saremo noi a doverci fare carico della gestione delle sue risorse, delle sue prerogative, del suo bisogno di appartenenza e delle sue aspettative. Facendo così, potremo costruire le basi di quella profonda relazione che ci legherà al nostro peloso e lui a noi in un rapporto mutualmente soddisfacente, Questo comporta l’instaurarsi di regole che devono avere, però, una valenza funzionale.
Personalmente con il mio amato Border Doc pratico l’agility, ma potrebbe trattarsi di una qualsiasi altre esperienza condivisa. Quanto facciamo è ben lontano da una finalità performativa. È il corollario di una profonda stima e affiatamento che sul campo trova una sua legittima ed entusiastica celebrazione. Ed è proprio questo quello che mi piace: poter fare qualcosa insieme al mio cane, in grado di coinvolgerci e appagarci entrambi, vivere un’esperienza insieme con lui. Cosa che poi si riflette sulla qualità della nostra vita e del nostro rapporto.
In realtà, vivere un cane significa prendere coscienza di quello che è il suo pacchetto motivazionale e cercare di soddisfarlo, creando una situazione di consenso tra attività, interesse, soddisfazione e gratificazione. Porre il cane in un contesto motivazionale adatto alle sue vocazioni crea i presupposti di una connotazione emozionale positiva di tale attività. Il lavoro sulle motivazioni è fondamentale per creare i presupposti di una relazione vissuta in maniera coinvolgente.