La presa di coscienza riguardo al benessere fisico e mentale dei cani di razza pura non è materia recente. Al congresso WSAVA (Word Small Animal Veterinari Association) di Parigi, nel 1967, si attestava “ogni standard dovrebbe contenere una raccomandazione per il giudice della relativa razza che attiri l’attenzione su quei particolari che rivestono importanza ai fini della funzione fisiologica, della capacità di movimento e della integrità fisica.
Il maltrattamento genetico è ben più grave del maltrattamento fisico di un singolo individuo, è da detestare e da perseguire come forma di crudeltà con conseguenze che si trasmettono da una generazione all’altra. Occorre, ad esempio, sottolineare che il Kennel Club britannico ha recentemente inserito uno statement – che s’intende diretto ad allevatori e a giudici di esposizioni – che recita “ogni cane deve poter vedere, respirare e muoversi senza disagio o dolore.
Negli ultimi anni in molti Paesi di grande tradizione cinofila, soprattutto quelli scandinavi, si è andata formando una nuova sensibilità riguardo al benessere psico-fisico dei cani, particolarmente quelli di razza, sentimento questo che ha suscitato perplessità negli stessi cinotecnici riguardo, per esempio, ai tratti richiesti negli standard o, più facilmente, ipertipi che si sono andati imponendo nei ring delle esposizioni canine, secondo il comune convincimento che se una caratteristica è “bella” in qualche misura, averla più accentuata sarà ancor meglio. Gli allevatori privilegiano, spesso senza riflettere (anche perché essi non sono – se non in pure eccezioni – né zootecnici né genetisti), quei fenotipi che esprimono caratteristiche estreme, che si fanno notare, che sono più spettacolari e i giudici di esposizione seguono quelle che presto diventano nuove direttive anche e spesso non scritte.
Su questi ipertipi si è basato per decenni l’allevamento, insistendo in colli di bottiglia genetici che strangolano le popolazioni con tassi di consanguineità esagerati.
Tuttavia nel periodo recente si sta cercando di correggere il tiro. I Paesi scandinavi per primi, seguiti dal Kennel Club Inglese, hanno apportato tutta una serie di modifiche agli standard, in modo che ora non vi si trovano più come richiesti o codificati quei tratti estremi che possono creare all’animale un qualsiasi tipo di danno, sia un eccesso di rughe e pliche cutanee, sia la taglia esagerata, ipergigante o ipernana che sia, o le angolature scarse fra i raggi ossei degli arti.
Una più corretta gestione della zoognostica canina e dei valori che ne caratterizzano la valorizzazione tramite il circuito delle esposizioni è indispensabile dato che, infine, questi valori attribuiti in modo empirico si traducono in titoli acquisiti dai soggetti meritevoli di segnalazione, e saranno proprio questi soggetti – campioni nazionali, internazionali, mondiali – a essere avviati alla riproduzione e a influenzare l’allevamento, trasmettendo alle generazioni future i loro patrimoni genetici in molti casi buoni ma, in altri, meno buoni.
A questo proposito l’altro grande mezzo di controllo sul benessere delle popolazioni dei cani di razza pura può e deve essere effettuato limitando l’uso di pochi stalloni, campioni supertitolati che diventano dei matadores e impoveriscono la popolazione della normale variabilità, cui consegue un tasso crescente di consanguineità deleteria e che in molti Paesi viene controllata da regole stabilite, in modo da evitare l’inbreeding stretto, evitando gli accoppiamenti tra parenti di 1° e, talora, anche di 2° grado.
Infine, esiste – e su questo non intravvediamo alcun progresso nel corso degli anni, anzi tutt’altro – una dimensione subdola nel deterioramento del patrimonio genetico del cane puro, incarnato dall’allevamento intensivo, in batteria, nelle cosiddette “fabbriche di cuccioli” che importano da Paesi dove il costo del cucciolo è bassissimo ed è così basso proprio perché non c’è alcuna cura o controllo a garanzia del benessere degli animali coinvolti, dato che l’unico scopo dell’allevatore è il guadagno. Questi cuccioli a volte sono allevati anche qui da noi, ma molto più spesso sono importati e passano attraverso molte mani per essere, infine, acquistati a un prezzo molto favorevole rispetto al cucciolo che nasce in un allevamento sportivo amatoriale, e per questo motivo spesso sono oggetto delle scelte delle famiglie.
Questi cuccioli portano spesso in dote molti problemi, sanitari e psicologici, e costituiscono un problema per il pool di popolazione, costituendo una sorta di “razza parallela” a quella “selezionata” e, soprattutto, il commercio di cani in siffatta maniera dovrebbe essere vietato per legge, poiché le povere piccole creature e le madri che li hanno partoriti sono sottoposti a varie forme di maltrattamento fisico e mentale o di non trattamento, data l’indifferenza di chi li cura. Oggigiorno, forse anche per via della crisi, se non si vuole rinunciare al cane di razza si cerca, però, di pagarlo il meno possibile. Al contrario, sarebbe molto meglio allora adottare un cane in un canile dando a lui una famiglia ed evitando, allo stesso tempo, di fomentare questo circuito vizioso delle fabbriche di cuccioli.
È ora di parlare di questi argomenti, esplorandoli da tutti i punti di vista. Non già in modo superficiale e semplice, come spesso vediamo, come da chi liquida l’argomento bollando tutti i cani puri di debolezza e poca salute, dicendo il falso, ma con una nuova competenza che permetta di capire le motivazioni e le cause che hanno condotto a questi problemi e, soprattutto, di valutare le vie d’uscita, le tecniche di allevamento, i nuovi test genetici disponibili quali sono e la loro utilità pratica.
L’approfondita conoscenza delle tante dimensioni contribuenti è base indispensabile per proporre interventi correttivi che dovranno obbligatoriamente coinvolgere e convincere tutte le categorie professionali e amatoriali che gravitano intorno all’allevamento del cane di razza. Tra queste figure, il medico veterinario è fondamento della spiegazione e dei suggerimenti.
Articolo di Barbara Gallicchio