Il concetto di intelligenza è stato preso in considerazione svariate volte nel corso degli ultimi cento anni. Dal 1904, quando lo psicologo Charles Edward Spearman pubblicò un articolo dal titolo “General Intelligence Objectively Determined and Measured”, nel quale affermava l’esistenza di un’intelligenza generale applicabile a qualsiasi cosa un individuo facesse; passando poi al 1926, quando il “Journal of Educational Psychology” chiese a importanti psicologi e scienziati di fama mondiale di definire il concetto di intelligenza, che però non riuscirono a trovare un accordo; fino al 1983, quando psicologi della Yale University e della Case Western Reserve University pubblicarono un libro dal titolo “What’s Intelligence?”, nel quale era ancora presente un ingente disaccordo tra gli studiosi.
A oggi sappiamo che l’intelligenza è un insieme di abilità mentali primarie, ciascuna delle quali considerata come una facoltà a sé stante. Queste abilità sono definite da Howard Gardner, psicologo della Harvard University, “intelligenze multiple”. Secondo questo psicologo, viene definita intelligenza quella capacità di risolvere problemi, costruire oggetti o produrre comportamenti logici in particolari situazioni ambientali. Gardner cataloga queste intelligenze multiple in sette categorie fondamentali: linguistica, logico-matematica, spaziale, musicale, corporeo-cinestetica, interpersonale e intrapersonale.
Daniel Goleman, laureato in Psicologia clinica e sviluppo della personalità alla Harvard University, nel 1995, diffuse l’idea di “intelligenza emotiva”, intesa come la capacità di essere consapevoli dei propri sentimenti e di comportarsi in modo coerente con essi. Undici anni dopo, nel 2006, parlò poi di un altro concetto: quello di “intelligenza sociale”, che riteneva, entrasse in gioco ogni volta che si incontrano due o più persone. Già nel 1922, però, un altro psicologo statunitense, Edward Lee Thorndike, parlava dell’intelligenza sociale come la capacità di comprendere gli altri, di saperli affrontare e di comportarsi in modo saggio nelle relazioni: una caratterizzazione generale che, pur segnando l’atto di nascita del concetto, lasciava del tutto aperto il problema di indicare in che cosa si riflettesse esattamente l’intelligenza sociale, e di come – e se – si potesse misurarla.
Il cane, sembra possedere tutte queste tipologie di intelligenza, o meglio, possiede queste abilità che si manifestano in maniera differente rispetto a quelle dell’uomo (alcune delle quali molto più discutibili di altre). Esso dunque riesce a reagire a una determinata situazione elaborando delle ipotesi. Sappiamo che il cane è un animale sociale, pertanto questo ci dovrebbe portare a pensare che la “semplice” interazione sociale sia la prova schiacciante che possieda sia intelligenza sia coscienza.
Claudia Fugazza, istruttrice cinofila, docente alle Università di Pisa e di Padova e ricercatrice presso il dipartimento di Etologia dell’Università di Budapest, ha sviluppato un progetto di ricerca sull’apprendimento sociale del cane, ottenendo interessanti risultati.
La domanda posta all’inizio del progetto di ricerca era: “Il cane può imparare socialmente, osservando il suo proprietario?”
Conosciamola!
STUDI E PROFESSIONE
Laurea in giurisprudenza
Laurea in Tecniche di allevamento del cane di razza ed educazione Cinofila
Master in Etologia degli animali d’affezione
Master in Istruzione cinofila
Dottorato di ricerca in Etologia (in corso)
Se dovessi chiederti una definizione di “intelligenza”, cosa risponderesti?
Io non uso questo termine, preferisco piuttosto parlare di capacità cognitive. La mia visione si discosta da quella di coloro che – ahimè, a volte ancora oggi – con riferimento all’intelligenza, pongono l’uomo sul gradino più alto di una scala e gli altri animali via via più in basso, a seconda di quanto siano filogeneticamente distanti dall’uomo. A questo proposito, porto spesso l’esempio di alcuni uccelli della famiglia dei corvidi che basano la loro sussistenza sulla loro capacità di ricordare dove nascondono il cibo. Varie ricerche hanno dimostrato che sono in grado di ricordare più di 200 nascondigli. Ora, io che spesso dimentico dove ho parcheggiato la mia auto, dovrei essere messa su un gradino decisamente più basso della suddetta scala, se consideriamo la memoria spaziale! In realtà, ogni specie sviluppa le capacità cognitive che gli servono per sopravvivere e riprodursi nella sua nicchia ecologica. Parlare di intelligenza in generale ha davvero poco senso, almeno da un punto di vista scientifico. Io utilizzo la definizione di Sara Shettleworth di cognizione, riferendomi con questo termine ai processi con i quali gli animali acquisiscono, processano, immagazzinano e modificano informazioni provenienti dall’ambiente.
Com’è nata l’idea di questo progetto di ricerca?
Il mio progetto di ricerca è nato, come spesso accade, un po’ per caso. Mi sono sempre dedicata allo studio del comportamento degli animali, in particolare lupi e cani, e mi ero resa conto che il mio cane aveva imparato ad aprire il rubinetto dell’acqua, probabilmente osservandomi. Da questo episodio ho iniziato ad approfondire quest’argomento e mi sono resa conto che nel mondo scientifico si pensava che i cani non avessero la capacità di imitare…
Quando hai iniziato la collaborazione con il professor Adam Miklosi all’Università di Budapest?
Nel 2009 ho svolto un tirocinio (previsto dal mio corso di laurea) presso il suo dipartimento e, in quell’occasione, mi ha chiesto se volevo fare un dottorato di ricerca. Ovviamente ho accettato entusiasta e così sono dottoranda presso il dipartimento di Etologia della Eotvos Lorand University dal 2011.
Come si svolge la ricerca? Quali sono le fasi?
La ricerca è, ovviamente, ancora in corso e credo che ci siano così tante domande cui dobbiamo ancora rispondere che le ricerche proseguiranno per molto tempo. Nel mio progetto di ricerca ci sono sia studi che si focalizzano sulle capacità cognitive sociale del cane sia studi più applicativi volti al miglioramento delle tecniche di addestramento.
Qual è stato il primo studio sull’imitazione nel cane?
Il “Do as I Do” era un protocollo volto a testare le capacità imitative negli animali, utilizzato per la prima volta da Hayes&Hayes negli anni ‘50, con uno scimpanzè. Topal e colleghi, nel 2006, utilizzando questo protocollo hanno dimostrato la capacità del cane di riprodurre azioni dimostrate da uno sperimentatore umano e hanno pubblicato i risultati in Animal Cognition. Il cane (ormai celebre) coinvolto in questo studio era un Pastore Belga Tervueren di nome Philp.
Com’è nata poi la tecnica di addestramento del “Do as I do”?
Quando lo studio è stato pubblicato nel 2006, non lavoravo ancora con il professor Miklosi, ma lavoravo come istruttore cinofilo e ho voluto provare ad applicare il protocollo con il mio cane India. Avuto successo con lei, ho lavorato con altri cani e ho messo a punto un protocollo che fosse adatto a tutti. Il Do as I Do è diventata una tecnica di addestramento efficace per insegnare ai cani nuovi comportamenti.
Quali sono i vantaggi dell’apprendimento sociale?
In natura la capacità di apprendere socialmente può avere molti vantaggi, soprattutto in situazioni pericolose. Nell’addestramento, il Do as I Do consente di insegnare in modo molto semplice e rapido comportamenti complessi quali aprire cassetti, accendere la luce, chiudere la porta, ecc. Ovviamente, si deve considerare che il Do as I Do è una tecnica di addestramento avanzato, non utile per l’insegnamento di quei comportamenti che s’insegnano di solito a cane e proprietario durante un corso di educazione di base, quali il richiamo e la condotta con il guinzaglio.
Quanto influisce l’apprendimento sociale nella vita di un cane?
I cani ci osservano molto, probabilmente molto più di quanto pensiamo e possono imparare socialmente molte cose da noi, a prescindere dall’addestramento. Alcuni studi sembrano addirittura suggerire che l’apprendimento sociale dall’uomo, nel cane, prevalga sull’apprendimento individuale. Credo che, con il processo di domesticazione nel cane sia emersa una predisposizione particolare ad apprendere socialmente dall’uomo.
Per la scienza moderna i meccanismi del comportamento sono controllati da neuroni, muscoli e ormoni. Questo è il pensiero generale dei comportamentisti che escludono, in qualsiasi spiegazione scientifica, la possibilità di pensiero e intenzione negli animali. L’apprendimento sociale smentisce questa teoria. Come ti sei approcciata a questa diversità di pensiero? Hai riscontrato difficoltà di comunicazione con chi la pensa in maniera opposta alla tua?
Lo studio del comportamento è stato dominato tra gli anni ’20 e gli anni ’50 dal comportamentismo. Si deve comunque tener presente che la cosiddetta rivoluzione cognitiva degli anni ’50 e ’60 non ha dimostrato che i principi del comportamentismo fossero falsi, ma soltanto che non tutti i fenomeni osservati potevano essere spiegati tramite quei principi. Oggi nel mondo scientifico accademico sembrano convivere due tendenze opposte: da un lato, la tendenza a spiegare ogni fenomeno con l’apprendimento associativo e, dall’altro lato, la tendenza a dare sempre interpretazioni cognitive (o “super-cognitive”, come definite da alcuni colleghi). La mia opinione è che non si debba propendere né per l’una né per l’altra tendenza, ma costruire dei protocolli sperimentali che ci consentano di capire nel miglior modo possibile quale sia il processo cognitivo alla base di ciò che osserviamo, senza escludere a priori alcuna ipotesi. So bene che l’argomento del mio progetto di ricerca è molto controverso, anche perché ammettere che il cane ha la capacità di imitare significa sgretolare un altro tassello del primato dell’uomo sugli altri animali. Tuttavia credo nella scienza e, sebbene non senza difficoltà, spero che si possa fare luce sulle capacità cognitive sociale del cane.
Nel tuo libro “DO AS I DO – IL CANE IMPARA GUARDANDOCI”, edito da Haqihana, racconti di Siria. Qual è stato l’insegnamento più grande ricevuto da questa compagna di vita a quattro zampe?
Siria, la mia prima lupa cecoslovacca, è stata la mia compagna di vita purtroppo solo per pochi anni. Abbiamo vissuto insieme momenti intensi (e quando dico insieme, intendo insieme 24 ore su 24, perché Siria, rifiutava assolutamente di stare senza di me e lo dimostrava con un accanimento distruttivo contro ogni oggetto le capitasse a tiro, in caso di separazione!). Pertanto, tra le altre cose, ho imparato cosa significa raggiungere dei compromessi tra quello che volevo fare e quello che poteva andare bene per entrambe. Insegnamento che, poiché all’epoca avevo poco più che venti anni, mi è stato piuttosto utile. Ovviamente sembrerò troppo romantica e sicuramente poco scientifica, ma il più grande insegnamento di Siria è stato l’amore tra due specie diverse e il rispetto reciproco.
Quali risultati ti aspetti alla fine del progetto di ricerca?
Il progetto di ricerca comprende diversi studi e non è ancora terminato. Per il momento, abbiamo dimostrato per la prima volta l’imitazione differita nel cane, cioè la capacità di ricordare un’azione e imitarla dopo che è decorso un intervallo di tempo dalla dimostrazione. Da un punto di vista cognitivo l’imitazione differita è considerata qualitativamente diversa dall’imitazione immediata, perché permette di escludere altri processi in cui la dimostrazione potrebbe semplicemente stimolare l’emissione di un comportamento simile nello stesso momento o pochi istanti dopo (come nel caso dello sbadiglio, che è un comportamento contagioso). Vorrei specificare che è stato possibile ottenere questi risultati e scoprire un altro piccolo pezzettino della mente del cane anche grazie alla collaborazione dei proprietari e istruttore cinofili, che hanno lavorato con me in questo studio. Sarebbe stato impossibile arrivare fin qui senza il loro entusiasmo e il loro aiuto! Ora stiamo lavorando su altri studi, tra i quali un confronto tra Shaping e Do as I Do come tecniche di addestramento.
Quali sono le difficoltà più grandi nella presentazione della ricerca e, quindi, nell’affermare la presenza di un’intelligenza sociale nel cane?
Man mano che rispondiamo ad alcune domande, se ne affacciano altrettante (e questo è un aspetto molto stimolante della ricerca). Le difficoltà sono molte perché, sebbene l’argomento sia indiscutibilmente interessante, la mentalità conservatrice per la quale solo l’uomo ha capacità di imitare è ancora molto presente, in alcuni casi anche nel mondo accademico.
Hai mai pensato di rinunciarci?
Amo il mio lavoro di ricercatrice e non vi rinuncerei per nulla al mondo! Sapevo fin dall’inizio che il mio argomento di ricerca avrebbe portato con sé non poche difficoltà e quando mi rendo conto di quanto sia più difficile pubblicare i medesimi risultati di una ricerca su questi argomenti se i soggetti sono cani, rispetto a quello che accade quando i soggetti sono bambini, ammetto di avere momenti di sconforto. Tuttavia non è da me rinunciare. Scaccio la tristezza e cerco di pensare che le difficoltà e le critiche aiutano a migliorare, quindi continuo a fare del mio meglio e continuo ad avere fiducia nella scienza.
Alla luce di questo successo scientifico, qual è invece il tuo successo personale più grande?
Ѐ abbastanza difficile per me separare il lavoro dalla vita privata, soprattutto perché il mio lavoro è per me una passione e questo non lo rende un vero lavoro, almeno ai miei occhi. A questo proposito, considero un mio successo personale l’avere la fortuna di poter coltivare la mia più grande passione per lavoro. Poiché prima di essere ricercatrice in etologia, lavoravo come avvocato (non me ne vogliano gli avvocati!) … posso decisamente ritenermi fortunata! E credo che questo mio passato mi permetta di godermi ancora di più la vita che conduco ora.
Cosa impari, giorno dopo giorno, dall’osservazione dei cani e dei lupi?
Credo che non si smetta mai di imparare e questa è una delle cose belle della vita!
Qual è la domanda che porresti ai tuoi collaboratori nella ricerca?
Ehehehe! Ne faccio sempre talmente tante di domande che forse dovresti chiedere a loro! Scherzi a parte, lavorando nel Family Dog Project sto imparando moltissimo e di questo devo ringraziare Adam Miklosi e tutti i miei colleghi. Tra i miei collaboratori, inoltre, devo annoverare tante persone, proprietari e istruttori che partecipano attivamente ai test e agli studi. Non mi metto mai su un piedistallo a impartire ordini – e non ne avrei alcun titolo – ma spesso discutiamo insieme e traiamo vantaggio dall’esperienza e dalle idee di tutti. Chiaramente non posso dimenticare i miei collaboratori a quattro zampe, sempre i primi da cui imparare qualcosa!
Ormai sei diventata una specie di musa ispiratrice per tutti quelli che vogliono imparare dall’osservazione del proprio cane e viceversa, ne sei consapevole? C’è un consiglio che vorresti dare a chi si affaccia, anche se da lontano, al tuo mondo?
No, davvero mi è difficile credere di essere musa ispiratrice per qualcosa. In ogni caso il consiglio che posso dare è quello di non arrendersi davanti alle difficoltà, di cercare una formazione seria e di imparare che da tutti si può imparare qualcosa. Infine, per essere un po’ più tecnica, se si è interessati a un argomento, leggere la bibliografia scientifica relativa.
E se qualche altro ricercatore confutasse la tua tesi?
Non sarei una scienziata se non mettessi ogni giorno in discussione tutto! Gli studi che mettiamo a punto sono sempre volti a una maggiore comprensione delle capacità cognitive del cane e praticamente non passa giorno in cui le varie tesi non vengano confutate. Quando questo, però, è fatto con intelligenza (per tornare al vecchio termine), ci consente anche di progredire.
Definisci in una sola parola questa esperienza
Wow! (Vale?)
Si sa, le idee viaggiano sempre e più veloce della luce. Quali altri progetti di ricerca sono in cantiere?
Abbiamo diversi progetti in corso e in cantiere, tra gli altri uno studio sulla capacità del cane di capire le intenzioni, uno studio sul confronto tra Do as I Do e Shaping nell’addestramento e altre ricerche sulla memoria delle azioni.
Ringrazio Claudia per la sua grande disponibilità e per avermi cortesemente rilasciato questa intervista telematica!
In ultimo, consiglio vivamente a tutti gli educatori cinofili, etologi e ricercatori di partecipare a uno degli stage tenuti proprio da questa grande donna che, a mio modesto parere, porta avanti scientificamente una teoria semplice ma ancora tanto difficile da comprendere e accettare: i cani hanno un’anima pensante.
Luana Michetti
Educatore cinofilo