Attualmente, sulla base dei reperti archeologici ritrovati, si pensa che la domesticazione del cane sia avvenuta circa 14/16.000 anni fa, anche se l’analisi del DNA rivela origini ben più antiche (40/50.000 anni). Il lupo – suo progenitore – ha una storia molto più antica, anche se quasi totalmente sconosciuta. Ossa di uomini e di ominidi risalenti a 150.000 anni fa sono state ritrovate vicino alla grotta di Lazaret (Nizza, in Francia); in Cina, negli scavi di Zhoukoudian, i reperti vengono fatti risalire a 300.000 anni; nel Kent, in Inghilterra, sono stati trovati reperti che arrivano addirittura a 400.000 anni. L’uomo era appena nato e già condivideva questa terra con il lupo!
Durante gli anni trenta in Europa nacque una nuova scienza: l’etologia. Padri fondatori: Konrad Lorenz, Karl von Frisch and Niko Tinbergen. Tale disciplina scientifica si basa sull’osservazione di una specie in natura. Il metodo di questi padri dell’etologia in contrasto con quello americano (che premiava il lavoro con animali tenuti in cattività), arrivò fino nella lontana America, dove venne adottato da biologi come, ad esempio, David Mech. Durante gli anni ‘30,’40,’50,’60, l’interesse per l’organizzazione sociale degli animali ebbe grande attenzione da parte degli addetti ai lavori. I primi ricercatori che descrissero le dinamiche di branco furono Schenkel, Rabb, Fox, Zimen, Murie, Mech, Haber, Peterson. Questi studi vedevano la coppia dominante avere assoluta egemonia sul resto del branco ed erano stati effettuati prevalentemente su animali in condizioni innaturali.
Nei branchi tenuti in stato di cattività, che sono tra loro sconosciuti, si formano gerarchie strutturate con individui alfa, beta, fino ad arrivare all’omega e questo potrebbe suggerire che il nostro cane di casa veda la sua convivenza con l’uomo allo stesso modo. L’etologia, a ogni buon conto, ci insegna che spesso diverse specie – quando tenute in cattività – formano appunto una gerarchia strutturata. Questa, però, non è stata l’unica scuola di pensiero: altri hanno sostenuto che in natura il branco non si sviluppa casualmente (come succede in cattività), ma forma una vera e propria famiglia, che include la coppia di genitori e la loro progenie.
Oltre a quanto esposto, questi studi erano viziati da: 1) portati a termine in tempi brevi, focalizzavano quasi esclusivamente sulle attività di caccia – le più scontate – arrivando a conclusioni basate sull’1 per cento dei comportamenti dei lupi osservati; 2) i ricercatori osservarono comportamenti rituali misinterpretandoli. Ѐ da queste errate osservazioni che nacque il grosso della mitologia della dominanza; 3) le estrapolazioni fatte dai loro dati erano piuttosto ardite, per non dire campate in aria. Immaginate che, come prima conclusione logica, allargarono ai cani le loro conclusioni e successivamente al rapporto uomo-cane.
Nel frattempo, in Europa, Konrad Lorenz descrisse le differenze tra dominanza e sottomissione nel famoso libro pubblicato nel 1949 “King’s Solomon Ring”, interamente basato sulle osservazioni dell’etologo (vincitore del premio Nobel) sui propri cani. La scuola cinofila di quei tempi era capitanata dal colonnello tedesco Konrad Most, Lorenz era anche lui austriaco e la scuola “germanica” di allora vedeva il cane come un animale da dominare e sottomettere alla propria volontà. Il cane maschio, specialmente per gli esperti dell’epoca, era in continua competizione con l’uomo e qualsiasi segnale di ribellione (dominanza) era da contrastare con fermezza (una bella parola che troppo spesso è usata al posto di crudeltà, prevaricazione o violenza).
Curiosamente, né allora né oggi, nessuno si è mai posto il problema conseguente all’utilizzo del cane per una monta: “capobranco” ruffiano? Occorre ammettere che per un cane sottomesso ricevere una femmina in calore proprio dal suo capobranco dovrebbe risultare quantomeno strano, per non parlare della conseguente riduzione di rango che ne avrebbe a soffrire quel leader che si preoccupa di passare per primo attraverso la porta di casa, che guai a te se sali sul divano e poi sta lì a guardare il suo sottoposto che si monta una femmina! Inaudito! Così nel dopoguerra la cultura tedesca fu esportata sui campi di addestramento americani per opera di quei militari, costretti ad allontanarsi dall’Europa. Lorenz influenzò anche Mech, che negli anni 70 coniò il termine “alfa”.
Negli USA, nello stesso periodo, vissero un momento di grande popolarità i Monks of New Skete, un gruppo di francescani aderenti al rito bizantino che avocavano la scrollata, lo schienamento e il pugno sotto il mento dei cuccioli, come tecniche efficaci per ridurli a miti consigli. Nello stesso periodo furoreggiava Bill Khoeler, un addestratore che faceva della compulsione, punizione e rinforzo negativo il suo pane quotidiano. A riprova dell’influenza “germanica” sulla cinofilia USA, un paio di anni fa ero negli Stati Uniti per seguire un corso sui test comportamentali ATTS (American Temperament Test Society), fondati dal tedesco Alfons Ertel nel 1977 e il caso ha voluto che conoscessi Carl Herkstroeter (austriaco emigrato durante la guerra) attuale presidente dell’associazione.
Torniamo a David Mech, che oggigiorno – dopo circa quaranta anni di ricerca sui lupi allo stato naturale – ha ritrattato le sue conclusioni risalenti agli anni settanta, ribattezzando la coppia alfa o coppia dominante “coppia riproduttrice” (Mech 2008) e mettendo il capo-branco nel cassetto. Tutte le congetture sugli scontri tra maschi per la supremazia del branco, all’evidenza dei fatti e nella stragrande maggioranza dei casi, si “risolvono” con i lupi che, a partire dall’anno di età in poi, lasciano il branco per formarsene uno proprio altrove (meccanismo che previene quegli scontri, invece, inevitabili in cattività) e di grande importanza, per mantenere quella diversità genetica necessaria per perpetuare la propria specie.
Naturalmente nel considerare i lupi, l’assunto era ed è che, essendo il cane suo discendente, il suo comportamento non può non derivare dal suo progenitore. Così un po’ tutti ci siamo sentiti in dovere di proferire la frase magica che non può mancare, quando si cerca di spiegare il perché di un certo comportamento del cane: “Il cane in natura…”. Il fatto è che di cani in natura ve ne sono davvero pochi. Non mi riferisco ai Dingo (Canis Lupus Dingo) né all’African Painted/Wild Dog (Lycaon Pyctus) ancora osservabili allo stato naturale, ma al nostro amatissimo Canis Lupus Familiaris.
Un altro impedimento non da poco, quello di non potere studiare la versione domestica del lupo…versione domestica? I lupi che abbiamo studiato sono i Timber Wolf, a causa della quasi estinzione del lupo artico, progenitore del cane, con il quale è al limite per essere definito come appartenete alla stessa specie (John Bradshaw 2009). Per tutti questi anni, quindi, abbiamo fatto riferimento a studi compiuti in prevalenza su lupi, che avevano ben poco da spartire con il progenitore del lupo? La risposta è sì, anche per chi volesse erroneamente attribuire l’origine al lupo asiatico. Un altro problema! Non solo manca il cane in natura, mancano anche il suo progenitore e i suoi discendenti in ambiente naturale! Così l’esempio più vicino al “modello naturale” del cane è il cane che troviamo nei villaggi (village dogs), ad esempio, sull’isola di Phemba; studiati dal professore Raymond Coppinger, biologo e consumato praticante dello sleddog: questi cani non formano il branco, la loro sopravvivenza è legata a doppio filo con quella degli abitanti dei villaggi e con i loro rifiuti. Lo stesso comportamento è stato osservato in Kenya, Tanzania e Sud America su altrettanti “village dogs”. Altro cane dei villaggi è il Canis Africanis scoperto dal mio amico Johan Galant (giudice/figurante e handler IPO) in quel del Sud Africa. Anche qui stessa storia, i cani vivono nei villaggi e non hanno bisogno di formare un branco, anche se occasionalmente formano gruppi di caccia.
Ricapitolando, la teoria del branco così come popolarmente divulgata si basa su lupi tenuti in cattività, molto diversi da quelli da cui discende il cane, i cui possibili antenati non formano il branco! C’è da dire che, per quanto questi cani si siano auto-selezionati (land race), una selezione vi è stata: nei villaggi i cani aggressivi non sono visti di buon occhio, sono eliminati nel momento in cui dovessero mostrare questo tratto. Avessimo fatto fuori tutti gli alfa? Anche per quello che riguarda il cane indiano americano la storia è la stessa: cani che seguivano gli indiani. La loro sopravvivenza sembra essere legata alla continua immissione di nuovi soggetti riproduttori nel gruppo. Cibo in abbondanza e nessuna interferenza da parte dell’uomo e il cane ferale riesce a proliferare. Ancora una volta sono segnalati gruppi amorfi di pochi elementi e non strutture che possano assomigliare a un branco.
Vi sono invece altri ricercatori (Macdonald, Carr, Pal), che riportano l’organizzazione sociale ruotante attorno ad una coppia monogama (come nei lupi) e i membri del gruppo sembrano essere tolleranti tra di loro. Rispetto al lupo, nei cani ferali la presenza in contemporanea di più cucciolate è più marcata. Infine, è riportata la dispersione dei giovani al compimento dell’anno di età. E questo è quanto: non esistono esempi o studi che dimostrino che il cane sia un animale di branco, se per branco s’intende quella unità di sopravvivenza appartenente al lupo.
Cerchiamo di approfondire l’argomento mettendo a fuoco alcune contraddizioni conseguenti alla divulgazione popolare della teoria del branco e conseguentemente la gerarchia e la dominanza, cercando di ristabilire la versione scientificamente accreditata. Consideriamo tre tipi di ordinamento gerarchico: 1) nel primo modello (quello più diffuso nell’immaginario comune) vediamo un cane saldamente al comando: questo tipo di gerarchia si mantiene per effetto della sottomissione di tutti nei confronti del despota; 2) il secondo modello (triangolare) può comprendere un numero pressoché illimitato di componenti. Questo modello è molto instabile, i componenti competono per le risorse e a volte tende a trasformarsi nel modello 3; 3) questo modello si mantiene attraverso una sottomissione via via a scalare.
Nessuno dei sopra elencati ordinamenti ha bisogno di un capobranco! Uno dei maggiori problemi conseguente alla distorsione della etologia ufficiale è nel comprendere che i cani stabiliscono il loro ordine gerarchico attraverso la sottomissione, che viene manifestata attraverso il gioco aggressivo, i rituali con subdoli segnali e minacce, e non l’obliterazione dalla faccia della terra dell’avversario. Non serve, anzi sarebbe controproducente: è documentato che il despota di turno è regolarmente deposto dai suoi “sottoposti”. Sono quegli elementi naturalmente non aggressivi, per niente prepotenti, a evitare di sfidare quelli che invece lo sono.
Un animale costantemente assoggettato a un regime di sottomissione vede i suoi livelli di cortisolo (ormone dello stress) elevarsi permanentemente, in questo modo le femmine inibiscono l’ovulazione all’interno di una comunità. Anche il termine capobranco è fuorviante. Il capo è chi comanda, cosa che nessun cane è in grado di fare: un cane prepotente difende le sue risorse (se lo ritiene necessario), il suo territorio, ma comandare? Direi proprio di no. Ѐ un po’ come in una squadra di calcio, vi sono undici giocatori che giocano insieme, ognuno in piena autonomia agisce per il bene di tutti: nel lupo gli schemi si sviluppano grazie agli istinti e all’esperienza.
Per approfindire l’argomento: “La teoria del branco, la dominanza e la gerarchia: riflettiamoci”