Quando il padrone affettuoso si prodiga in cure materne oltre il tempo dovuto, egli rivela le sue insicurezze, le sue paure, quanto cioè è sprovveduto di fronte ai bisogni e ai desideri del cucciolo. L’amore non basta per crescere un cucciolo. Per crescerlo e, quindi, per educarlo occorre tenere conto del suo carattere, dei suoi desideri, delle sue inclinazioni. E specialmente del suo bisogno di diventare autonomo per realizzare il proprio progetto di cane adulto equilibrato, sicuro e felice di stare nel mondo. Come il frutto si stacca dall’albero quando è maturo, così il cucciolo deve staccarsi – a tempo debito e con la dovuta progressione – dalla madre/dal proprietario quando è maturo.
Le cure premurose che circondano il cucciolo sono cariche di amore, di un amore apprensivo a volte ossessivo, che esorbitano le contingenze dei bisogni primari, del non più necessario bisogno di protezione bensì di autonomia, che si raggiunge attraverso il distacco dalla madre/dal padrone per aprirsi alle esperienze del mondo e imparare ad affrontare gli scacchi, gli insuccessi, le frustrazioni, le delusioni che arricchiscono la mente e il cuore del cucciolo negli infiniti e imprevedibili percorsi della vita.
Il ruolo genitoriale del proprietario, invece, pervade tutto l’arco della vita del cucciolo che diviene adulto e poi vecchio, costituendo il modello relazionale primario – se non esclusivo – eludendo gli altri ruoli, quelli di cui più ha bisogno un cane non più cucciolo e non ancora vecchio: quello di alleato, di compagno, di partner. È una gabbia relazionale che apparentemente costringe il cane a vivere nella dimensione infantile, ma è solo un pregiudizio del proprietario, perché, in effetti, è una rappresentazione della relazione cane-uomo che è vissuta dal proprietario-genitore oltre l’esigenza fondamentale dello sviluppo del cucciolo, ma che invece nella realtà è sperimentata dal cane come una privazione di esperienze e di competenze, che è alla base di vari deficit psico-comportamentali, come le paure, le basse soglie di eccitabilità, l’assenza di regole sociali e di autocontrolli.
Il solo desiderio di avere un cane, l’amore con cui se ne prende cura non sono un motivo sufficiente per garantirgli agio e benessere, ci vuole rispetto e capacità di accoglienza per contrastare la tendenza a idealizzarlo, una situazione che comporta dei rischi di cui bisogna acquisire consapevolezza, se si vuole preservare il cane da sofferenze e dagli abbandoni e se si vogliono evitare le aggressioni, definite spesso inspiegabili.
L’amore narcisistico verso il proprio cane è frutto della preoccupazione di lenire le proprie ansie, di placare le insicurezze, se non il bisogno di sentirsi considerati, voluti bene. Quest’amore acceca, fa vedere un cane idealizzato e non rende possibile l’accettazione del cane reale con i suoi bisogni e con i suoi desideri. Il vero amore per il proprio cane è quello vissuto nella piena consapevolezza della sua reale dimensione psicologica, non distorto dalle false aspettative (“Il mio cane mi sarà sempre riconoscente”), dalle infondate illusioni (“Il mio cane ha morso? È una cosa impossibile”), dall’involontaria proiezione dell’inconscio (“Il mio cane ama vivere in casa”).
Gaspare Petrantoni
Medico veterinario comportamentalista