C’è ancora bisogno di spiegare cosa sia la Leishmaniosi canina? Se avete in casa un piccolo grande amico peloso, quadrupede e scodinzolante, ne avrete (quasi) sicuramente sentito parlare più di una volta, magari e soprattutto dal vostro veterinario.
La Leishmaniosi canina è un’affezione procurata nell’animale dalla puntura di un flebotomo, una specie di parassita simile a una zanzara ma molto più piccolo e più attivo col caldo (quindi in primavera ed estate e, di conseguenza, più presente nella parte centro meridionale, nelle zone costiere, per quanto, negli ultimi anni, si sia notata una sua espansione anche nel Nord Italia) che, se non individuata e trattata adeguatamente e per tempo, può causare la morte di Fido.
Trattata ma non curata: ad oggi non esiste una vera e risolutiva cura per la leishmania ma solo terapie che possono alleviarne i sintomi (tra gli altri, perdita di peso, assenza di pelo nella zona perioculare, ulcere cutanee, anemia, insufficienza renale) e allungare e migliorare la qualità della vita. E poi c’è il vaccino.
Si tratta di un’introduzione relativamente recente nel campo della scienza medica veterinaria, un processo terapeutico che permette di agire dall’interno sul sistema immunitario del cane con un’efficacia quattro volte maggiore dei collarini e degli spray repellenti utilizzati finora. Mettiamo, quindi, subito in chiaro questo dettaglio: il vaccino contro la Leishmaniosi canina è sì una rivoluzione, un concreto passo in avanti, ma non è una vittoria definitiva. Anche se vaccinato, il nostro amico a quattro zampe farà sempre bene a mettere, specie nei mesi più caldi, il suo bel collarino repellente.
Ma quando e come si dovrebbe, eventualmente, vaccinare, il cane? Ci sono effetti collaterali? E, soprattutto, quanto costa? Da questo momento in poi a parlare (pardon… a scrivere) sarà la semplice proprietaria di una Breton di due anni e mezzo di nome Lizzy. Che poi, almeno in questo campo, altro io non sono.
Dunque, mi è stata illustrata la possibilità di vaccinare la mia “bimba” quando lei aveva sei mesi (prima cosa da sapere: il vaccino può essere somministrato a partire dai sei mesi d’età del cucciolo) e si apprestava a fare il suo primo prelievo di sangue in vista dell’intervento di sterilizzazione. Era gennaio, e la “nostra” veterinaria ci chiese se, insieme agli altri esami, volevamo inserire anche quello per determinare se Lizzy era leishmania positiva o negativa (ovvero se l’avesse, nostro malgrado, già contratta). Perché – seconda cosa da sapere – il vaccino si può inoculare solo in un cane potenzialmente sano. Nel caso in cui la bretone (come la chiamo io) fosse risultata leishmania negativa, bisognava attivare immediatamente il protocollo vaccinatorio (terza cosa da sapere: il vaccino non si può fare nei mesi “caldi”: marzo è il limite massimo, altrimenti bisognerà rimandare ai mesi freddi). L’ultima informazione “medica”, per così dire, riguarda gli eventuali effetti collaterali: oltre alle solite reazioni comuni alla somministrazione di quasi tutti i tipi di vaccino (allergia, gonfiore, dolore alla palpazione…), si possono verificare apatia e disturbi digestivi. Per esempio, tra i Breton l’apatia è piuttosto frequente (questo non esclude, tuttavia, reazioni avverse più gravi e, ancora una volta, è necessario sottolineare l’importanza del contatto, non solo medico ma anche di fiducia col proprio veterinario).
Ma torniamo a noi. Lizzy è risultata leishmania negativa e quindi idealmente candidata alla vaccinazione: un due tre, pronti via… Il primo ciclo vaccinale richiede tre iniezioni a distanza massima e tassativa di tre settimane l’una dall’altra. Dall’anno successivo è sufficiente un solo richiamo, ma sempre entro i termini stabiliti dall’ultima iniezione (nel nostro caso tra il 21 e il 26 marzo di ogni anno). Tolleranza zero contro i ritardi. Sgarrare significa ricominciare tutto daccapo. E qui sono dolori. Perché il vaccino per la leishmaniosi canina ha un suo costo non indifferente e, probabilmente, neanche alla portata di tutti.
Iniziamo dal costo del test per il riscontro del positivo/negativo (che, peraltro, dovrà essere ripetuto almeno ogni due/tre anni): naturalmente dipende da una serie di fattori, ma si entra più o meno in una forbice tra le 35 e le 80 € (quello di Lizzy era associato ad altre analisi, quindi non riesco a ricordare con assoluta precisione).
Poi c’è il costo della singola “punturina”: 70 € è quanto spendo io. Il primo anno era da moltiplicare per i tre richiami successivi (ovvero 210 € complessivi).
A conti fatti, e ricapitolando il tutto, sembra che il vaccino per la leishmaniosi sia molto costoso e non assolutamente necessario, visto che la copertura non supera il 60% e il rischio di contrarre una delle infezioni più pericolose per il nostro cane non è (ancora) stato definitivamente debellato. Ne vale dunque la pena?
Posto che ognuno ragiona e decide per sé, vi spiego perché io ho scelto di farlo somministrare alla mia Lizzy, nonostante tutto. Potrei metterla molto semplicemente in questi termini: nel momento in cui ho deciso di prendere un cane, ero consapevole di assumermi la responsabilità del suo benessere e che questo benessere avesse un costo (sotto molti aspetti, dal cibo alla profilassi medica) era incluso nel pacchetto.
Ma posso spiegarlo anche in quest’altro modo, un po’ più complicato ma più realistico: personalmente, i miei genitori non hanno lesinato su alcun vaccino per i figli da piccoli, i quali figli, da adulti, fanno controlli e prevenzione per mantenersi in salute nei limiti della Divina Provvidenza. E prevenire non significa sempre curare, significa il più delle volte prendere coscienza del problema prima che sia troppo tardi e ridurre il rischio di danni irrimediabili. Ecco, Lizzy è un cane, ma allo stesso tempo un membro della mia famiglia: perché dovrei modificare prospettiva e filosofia nei suoi confronti? Le devo, né più né meno, che quello che solitamente do a me stessa e alle persone che amo. Incluso il vaccino per la Leishmaniosi canina, che considero più che una profilassi vera e propria, una forma di prevenzione. Come, per una donna, fare una mammografia da una certa età in poi, per meglio chiarire il concetto.