Ed ora finalmente una certezza.
Intendo la certezza proveniente dalla garanzia della “produzione selezionata” che, prescindendo dal-lo scarso successo incontrato dal progetto, è basata sulla verifica del DNA, come strumento per ac-certare, in termini inconfutabili, la paternità e la maternità dei cani che sono attorno a noi.
Nei corridoi volano chiacchiere a buon vento, a cattivo vento ed anche a mezzovento: “Quel cam-pione risulta abbia più di 2000 figli e riproduceva “naturalmente” anche… da morto”, “Quel cane ha fatto il Derby? Ma come… ha quattro anni!”; “Quella campionessa ha partorito fino a 15 anni”; “Quel cane è stato naturalizzato d’allevamento Italiano: occhio alla Bossi/Fini!”; “Domani arrivano cinque cuccioloni, tutti senza microchip: quei famosi pedigree son sempre disponibili?”; “Mi chiami domani, ho un carico in viaggio e c’è quello che cerca lei!” E via con le chiacchiere.
Ma purtroppo quando ne girano troppe, spesso c’è qualcosa di vero… anzi c’è qualcosa di troppo perché, come si è già detto, bastan poche mele marce per mandare a ramengo il raccolto.
Eccoci di nuovo, noi poveri “normali” che, con due cucciolate all’anno ed una gestione in profondo rosso, cerchiamo di dare un prodotto affidabile al cacciatore e possibilmente di produrre qualcosa di più per lo spettacolo zootecnico; e come noi tantissimi altri, amatori e professionisti, che spero vo-gliano fare sentire la loro voce, la voce di “una cinofilia di nicchia”.
Cosa possiamo fare? Lanciamo l’offensiva del Dna? I risultati sorprenderebbero molti… ma non me.
Voi direte: “Se sai, denuncia”. Non servirebbe a nulla, sarebbe solo un piccolo scandalo in più, di cui certo non sentiamo il bisogno. Invece, ci sarebbe bisogno di procedere ad analisi del Dna a campio-ne, al cui controllo nessuno deve potersi sottrarre… a chi tocca, tocca!
Il nostro è un mondo che si fa sempre più difficile, che si regge su sacrifici da chi ha enorme pas-sione, passione vera e dove i piccoli fanno fatica a sopravvivere, ma dove, sommando i loro tanti piccoli numeri, esce un valore aggiunto per le razze, dove la frammentazione non è debolezza perché si regge sulla sinergia degli amatori, consentendo ai nostri soggetti di farsi onore in ogni mani-festazione internazionale e dove sarebbe desiderabile che i grandi numeri (risultanti dalla somma dei piccoli numeri) fossero suffragati da una certezza di identità ed autenticità genetica.
Un vecchio amico che ci ha lasciato, grandissimo allevatore e preparatore, alla mia domanda perché non utilizzasse alcuni importanti stalloni mi rispondeva: “Guai a mischiar troppo le pulci. Rischi di trovarne delle bastarde. Quello è un gran cane, ma è figlio di Crich o di Croch?”
Io posso aggiungere che credo nella sincerità come chiave di una zootecnia vera e sportiva.
Sulla scena si sta ancora recitando l’opera infinita della cinofilia, ma con fasi alterne nell’esecuzione, sta a noi e a nuovi attori mantenerne la continuità e l’intento pragmatico ed artistico: l’arte dell’allevare, l’arte della caccia col cane, l’arte del cane da sport finalizzato alla zootecnia, l’arte a cui non dobbiamo rinunciare.