Finalmente svelato il giro d’affari dell’allevamento Green Hill di Montichiari (BS) che alleva beagle destinati alla sperimentazione ed è oggetto da mesi di proteste da parte delle associazioni animaliste.
L’eterna odissea di Green Hill si arricchisce dei dati sul costo dei cani destinati alla vivisezione e sul fatturato dell’allevamento che, nonostante una mobilitazione impressionante per salvare quei poveri animali, continua ad operare pressoché indisturbata. Numeri alla mano nei primi 9 mesi del 2011 sono stati venduti 2143 beagle ad un prezzo che oscilla tra i 300 e i 500 euro ad esemplare e fino a 1.800 euro per una femmina gravida. Un giro d’affari che supera facilmente il milioni di euro in un anno.
I cani allevati, destinati alla sperimentazione scientifica, una volta usciti dal canile vengono venduti come cavie per la vivisezione; dei 2143 beagle, 201 esemplari sono finiti in Italia sui tavoli di quattro multinazionali tra le quali i colossi Sigma Tau e Wyeth Lederle, i restanti vengono venduti all’estero e le aziende li comprano anche quando hanno solo cinque mesi di vita (il recente caso 16 acquistati da Bayer lo scorso settembre). Altro particolare emerso dalla recente perquisizione dell’Oipa è la mancanza di registrazione dei cani presso l’anagrafe canina e l’applicazione del microchip di riconoscimento obbligatorio per legge dal 2005. In questo modo i cani potrebbero essere venduti senza che le autorità possano tracciare i loro spostamenti. Questa pratica in barba alle attuali norme di legge, che da diversi anni hanno stabilito che il microchip è l’unico sistema di identificazione per i cani, sembra essere legittimato da un fax se inviato dalla direzione veterinaria regionale il 5 aprile 2007 all’Asl di Brescia specificando che “ si ritiene che i cani allevati dalla ditta Green Hill e destinati alla sperimentazione possano essere identificati mediante tatuaggio anziché microchip “.