Grazie a una sempre maggiore sensibilità sociale si è giunti a riconoscere agli animali, un nuovo status giuridico, che li eleva a soggetti di diritto. I diritti ascrivibili agli animali sono essenzialmente legati alla loro personalità; anche loro, come gli uomini, sono portatori d’interessi primari ai quali fare riferimento.
Si parla quindi del diritto a una vita e a una morte dignitosa, del diritto a non soffrire, del diritto ad avere condizioni “compatibili con le proprie esigenze etologiche”. Ma purtroppo come spesso succede, queste rimangono parole scritte. Questo che vi raccontiamo è un episodio raccapricciante successo il 21 giugno in una località montana della bergamasca. Un povero cane perennemente legato alla catena corta, giorno dopo giorno, un susseguirsi interminabile di ore, a rigirarsi su se stesso sempre così, per tutta la durata della propria non-vita. relegato nella sua cuccia di fortuna, lontano da tutti, con scarti di vario genere come unico cibo e acqua maleodorante per bere. Alla fine è arrivata la morte, probabilmente causata dalla mosca sarcophaga. Una mosca che appartiene al genere delle carnarie e che ha trovato nelle ferite, nelle piaghe delle zampe posteriori del cane il suo habitat prediletto, vi ha deposto le uova, sono nate le larve e la carne piagata è divenuta il loro cibo.
Art. 544 bis c.p. “uccisione di animali” stabilisce che “chiunque, per crudeltà o senza necessità, procura la morte di un animale è punito con la reclusione da tre mesi a diciotto mesi”. L’articolo è stato ribattezzato dalla dottrina più recente con il neologismo di “animalicidio”.