Lassù è molto più dura
Dalla regina del bosco alla dea delle rocce: ecco un profilo dello specialista. Non tutti i cani si adattano a cacciare fra strapiombi e murene sassose, su irti pendii e costoni pietrosi…
Il cane da montagna è il cane da montagna, non il generico cane da caccia, dal quale si differenzia per non piccole sfumature. Egli è ricco di fantasia, di spirito di sacrificio, di senso di collaborazione…
di Andrea Mariani
La coturnice, che sia alpina o appenninica non fa differenza, le sue astuzie, i suoi habitat, sono i medesimi, l’Alectoris Grecae è una soltanto, è la preda più ambita, irraggiungibile sogno, dal comportamento schivo, fuggitivo, la cui vera fuga difensiva sono le gambe ancor prima delle ali.
Il suo peggior nemico è l’inverno, specie se rigido e nevoso, che la mette a dura prova, ma sarà la natura a selezionare, lasciando i più deboli sotto il gelo.
Il suo secondo nemico è il “coturnat” -il cane da montagna- che sarà sempre accompagnato da un conduttore, spesso cacciatore. Loro due in bilico su quei sassoni, condividono una sola anima, che li unisce e li rende partecipi della stessa passione. Fin dal primo raggio di luce li trovi accovacciati sotto una grande pietra, lungo il sentiero, ad ascoltare il canto ineluttabile del raduno, la musica del sogno e della speranza, il segnale che da il coraggio di cercarle ovunque. I luoghi non danno una mano a chi s’è alzato in piena notte per raggiungerli ed affrontarli, semmai saranno i veri loro ostacoli. La montagna affascina, ma bisogna temerla, i suoi contrafforti catturano il desiderio dell’incontro, affrontarla sempre con dovuto rispetto ed assoluta consapevolezza, che una minima distrazione o una banale leggerezza potrebbe essere fatale.
Miss, la mia prima setter da montagna, quando avevo 18 anni, era il 1980. Il suo motore era indistruttibile, sapeva tutto dei cotorni, i suoi incontri venatori li fece unicamente con questo selvatico, ma la sua ferma non era utile al cacciatore, scarsamente solidità, era molto audace a scovarle e recuperarle, mi permise di fare molta esperienza. Conosceva molto bene i Monti Sibillini, ancor meglio del suo box. Dopo di lei le cose cambiarono, ho avuto dei cani da montagna che ancora oggi ricordo con nostalgia.
Oggi fare un cane specializzato è molto difficile, soprattutto nell’Appennino, vuoi per la peste dei Parchi, ma anche per la mancanza di animali bradi, all’epoca molto diffusi. Dopo 20 anni di Parco Nazionale la densità del selvatico è drasticamente ridotta, le rare brigate faticano a riprodursi, la mancanza di stazzi è stata deleteria e la promozione dei parchi ha portato gente di ogni tipo e di qualsiasi attività in montagna ed ove una volta si aggiravano le aquile e i lupi, ora vociferano le urla dei vacanzieri, escursionisti e pseudonimi amanti della natura. Ricordo perfettamente la valle di Foce di Montemonaco, che risale fino al Lago di Pilato (un vero patrimonio), che dopo l’avvento del parco divenne una continua processione di curiosi, che scorrazzavano rumorosi in su e in giù per la montagna, come fosse un santuario, e la coturnice molto abbondante negli anni ’80, non vi mise più piede.
Preparare un cane da coturnici, nei pochi cocuzzoli rimasti liberi alla caccia, è un’impresa disperata e quei pochi appassionati rimasti, ci ritroviamo da vent’anni tutti lì, a cercare non so cosa.
Questo che descrivo è il mio ideale cane da montagna, l’immaginario che inseguo da anni e che ho posseduto diverse volte.
Il cane da coturnici si distingue per la sua fisicità, per l’intraprendenza, per il coraggio; sarà sempre un cane molto intelligente, che quando si muove collega le zampe al cervello. Non sarà mai un cane velocissimo, non per sua indole, ma per sua esperienza, che gli suggerisce che in quei posti non c’è spazio per la fretta; la calma è la virtù dei forti ed è amica delle lunghe ore che occorrono per affrontare l’impegnativa battuta di caccia.
I soggetti irruenti, troppo frenetici, impetuosi non servono a molto, presto si ridurranno a passo d’uomo, girovagando nelle immediate vicinanze ad osservare l’esaltante panorama.
“Coturnat” si nasce? Assolutamente no, “coturnat” si diventa, si nasce predisposti fisicamente e parlo di costruzione morfologica, come ad esempio il piede ben chiuso, arti muscolosi, polpastrelli ben duri, rene corto e robusto, fino a giungere nella porzione cranio-facciale, contenitore di due indispensabili organi: naso e cervello. Dal primo ci si aspetta grandi capacità di ricezione di odori, anche i più flebili, il secondo deve essere necessariamente una sorgente di ragionamento e di animus.
Il cane da montagna sarà sempre un cane molto prudente, non sono molte le razze che hanno queste caratteristiche e sarà il confronto continuo a frenare gli entusiasmi, la “dea delle rocce” spesso non si lascia nemmeno avvicinare a vista.
Il soggetto dei sogni sarebbe quello che parte con lo stesso ritmo con il quale rientra a sera, ma la montagna logora anche gli atleti più allenati.
Mi sembra scontato che il “coturnat” debba avere una cerca estesa nei lati, che in montagna si traduce in “molto sotto ed altrettanto sopra”, anche qualche leggero affondo verrà richiesto, ma non troppo profondo perché -si sa- potrebbero essere dietro il costone e il conduttore deve sempre vedere ciò che accade davanti. Il “coturnat” questo lo sa e -se è stato ben addestrato- in certe situazioni va messo di noi, per permettere al cacciatore di passare in posti sconnessi evitando sassi in testa e, talvolta, per tentare l’imboscata alla grigia di montagna, che è in pastura o in rimessa dietro le roccette.
Della ferma è inutile parlarne, in quanto se non è solida fino all’estremo, allora si fa un passo di trent’anni in dietro, ai periodi della mia Miss, quindi si torna a casa.
In questa specialità la guidata ed ancor più l’accostata, è roba da artisti, paragonabile a un calcio di rigore, che può sembrar facile, ma quasi sempre non lo è, le variabili sono molte: condizioni atmosferiche, vento a favore o assenza di vento, presa dal basso verso l’alto, molto peggio se viceversa, terreno rotto e ghiaioso dove si fa rumore, possibilità dell’antagonista di rifugiarsi in un anfratto eccetera.
Quando il cane, dopo lunga guidata, riesce ad immobilizzare una coturnice nascosta entro i venti metri, lo definirei un’artista. E’ sempre una cosa molto difficile da realizzare, questo selvatico non è mai così disponibile, spesso parte al minimo rumore, cambia aria ancor più facilmente se vede il cane o l’uomo, soprattutto se è il brigata, perché c’è sempre la vedetta a lanciare l’allarme.
Poi ci sono delle situazioni in cui si lascia sorprendere con facilità, ad esempio con il vento forte, che copre tutti i rumori e la fa rimanere attaccata al terreno. Il cane d’esperienza conosce queste cose ed andrà a cercarle dentro i canali protetti, riuscendo talvolta ad avvicinarle incalzandole a vento buono e spesso succede che si lascino fermare a tiro di schioppo. Altro punto a loro sfavore è il forte odorato che lasciano in giro, peggio ancora se sono unite a gruppi. In queste situazioni per il cane non sarà difficile avventarle, più problematico è accostarle. Anche in rimessa tra gli alberi, diventa abbastanza vulnerabile, quasi sempre sbrancata, tollera l’avvicinarsi del quadrupede, che la individuerà… Quando si rimette negli strapiombi è meglio lasciarle perdere, troppo rischioso, sopratutto per il cane che ben poco può rendesi utile.
Il recupero è imprescindibile in questi posti, tutti i cani da montagna devono possedere questa dote naturale, altrimenti sarebbe fatica sprecata ed animali sacrificati per nulla. La classica azione del cane da coturnici è quando aggancia la risalita -il punto in cui è passato il selvatico che sta risalendo- qui si vedono le azioni più esaltanti, l’astuzia del cane ed il suo potente olfatto… roba da far andare in tilt il cuore del cacciatore.
Ritengo sia giusto presentare un cane in prova, se possiede tutte le carte in regola per partecipare, anche se rispetto totalmente la moltitudine di cacciatori che sono in possesso di soggetti dalle doti eccelse e preferiscono andarci “solo” a caccia.