Prima di addentrarci ad analizzare lo stato attuale dello Springer, anche in relazione ad altre razze di ceppo spaniel, sembra utile ribadire qualche nozione storica relativa al gruppo, al fine di trarne alcune importanti conclusioni sulle quali basare i nostri ragionamenti.
È quindi logico evidenziare come la maggior parte delle razze Spaniel (così come i loro derivati “spaniel da ferma”, i Setters) abbiano trovato la loro principale congruità di razza nei diversi ambiti geografici: in particolare sono state le grandi casate nobili, con canili che a volte ospitavano molte centinaia di soggetti, che hanno operato una selezione di caratteristiche innanzi tutto operative, ma necessariamente anche morfologiche (in maniera diretta od indiretta), e che hanno poi permesso la redazione degli Standard proprio in base a quella omogeneità fissatasi attraverso innumerevoli generazioni di riproduzione più o meno consanguinea.
Ne sono esempi lampanti i Setters Inglesi “Laverack” e Gordon, sotto certi aspetti gli Irlandesi (originari appunto non tanto di una casata, ma comunque del distinto ambito geografico rappresentato dall’Irlanda), gli Spaniels (in parte oggi estinti) del Sussex, del Devonshire, del Norfolk e l’Irish Water.
Le nostre 3 razze, sulle quali punteremo la maggior attenzione, hanno anch’esse avuto una simile logica di fissazione dei ceppi originari, perlomeno in quelli di pura origine: lo Shropshire dei nobili Boughey per lo Springer Inglese, ed appunto il Galles per il Welsh. Invece il Cocker non ha avuto per lungo tempo una definizione certa di razza così come oggi la intendiamo: per alcuni secoli è stata usata questa terminologia per indicare in forma generica ogni spaniel di buon istinto venatorio che avesse una taglia particolarmente ridotta, e che quindi lo faceva ritenere idoneo per la caccia alla beccaccia. La definizione moderna della razza e del relativo Standard è stata invece “ricamata” su una particolare tipologia che si presentava omogenea e fissata nel tipo, i cui capostipiti sono vissuti alquanto recentemente negli ultimi anni del 1800, e che ha trovato la sua definitiva uniformità e standardizzazione in allevamenti come Bowdler ed Of Ware.
Un accenno lo merita pure il Field Spaniel: la cosa che risulta più interessante è che con questo nome, inizialmente utilizzato per indicare ogni spaniel da caccia non da ferma più grande di quello che veniva definito Cocker, furono poi identificati per la standardizzazione quei soggetti e quei ceppi con mantello unicolore, e cosa maggiormente importante, di taglia compresa fra il Cocker e lo Springer; infine dalle proporzioni morfologiche dei rapporti altezza/lunghezza più vicini al Sussex che non alle altre 2 razze ora citate: certo che appare poco comprensibile il motivo che ha spinto a non riconoscerne anche una varietà pluricolore, come la logica avrebbe suggerito, in quanto questa tipologia era sicuramente presente e numerosa nella Gran Bretagna ai tempi della stesura degli Standard delle razze spaniel (peraltro, prima del definitivo riconoscimento di queste razze così come oggi le conosciamo, quindi fra il 1885 ed il 1902, la maggior parte degli spaniel di taglia “robusta” venivano iscritti proprio nella razza Field, che comprendeva quindi i pluricolore, inclusi molti Springer di pura origine). Ad esempio il Norfolk Spaniel aveva le caratteristiche per poter essere classificato in questa razza, ma questo Spaniel si era nel frattempo disperso in quanto a purezza. Forse il motivo va proprio ricercato in questo: pur esistendo tanti spaniel che potevano essere assimilati ad un Field “pluricolore”, questi avevano perso l’identità geografica e comunque non ne esisteva alcun grande allevamento in purezza o che comunque fosse interessato al suo riconoscimento ufficiale: il risultato fu che, con questa lacuna, essi finirono per confluire (non appena se ne presentava la necessità) nelle razze del Cocker e dello Springer (peraltro le uniche senza vincoli nel pluricolore). L’esempio più lampante e significativo fu l’allevamento Rivington, che basava la propria selezione esclusivamente sulle caratteristiche operative, ma nell’ambito di una grande difformità di “tipo” e che pertanto iscriveva, a seconda del peso, i propri Spaniel nelle razze Cocker o Springer, addirittura nati nella medesima cucciolata ed anche dopo il 1902 (anno del definitivo riconoscimento e distinzione di tutte le razze Spaniel Britanniche).
Si può quindi rilevare che, parallelamente alla definizione e sviluppo delle razze Spaniel ufficialmente riconosciute basate su ceppi sostanzialmente “puri”, ed avvenuta nella logica e sulle basi prima esposte, altri ceppi di spaniel si sono sviluppati attraverso una continuità allevativa che ha seguito logiche simili all’allevamento Rivington, dove la purezza non è mai stata un vincolo primario. L’obiettivo di questi allevamenti (che non è quindi mai stato rivolto al settore espositivo) si è poi rapidamente trasformato dal produrre soggetti operativamente efficaci, in quello di produrre soggetti, oltre che efficaci, particolarmente idonei a ben figurare e vincere quello che in pochi anni dagli inizi del 1900 è divenuto uno sport che ha attratto l’interesse crescente di un gruppo di persone vieppiù folto: i Field-Trials. Tali manifestazioni, vere e proprie “gare”, appannaggio del soggetto che meglio soddisfa la formula del concorso, hanno mantenuto nel tempo una loro validità tecnica solo in quanto rappresentano la simulazione della caccia in battuta all’Inglese, che oggigiorno è divenuta anche l’impiego classico di questa tipologia.
Sono quindi nati e si sono specializzati allevamenti che hanno attinto da diverse linee, Rivington in primo luogo, e poi a quei soggetti che potevano essere definiti “Field Spaniel Pluricolori”, ma anche a soggetti e linee di ceppo puro sia di Cocker, che di Springer Inglesi e Gallesi, che di Field, che infine di altre razze quali soprattutto il Setter ed, anche recentemente, il Border Collie.
Da questo calderone di soggetti, linee e razze diverse, in molti anni di dura selezione si è evoluto ed in parte fissato nelle caratteristiche quello che oggi viene definito come “Field-Bred English Springer Spaniel”, una tipologia di sicure qualità venatorie, di grande addestrabilità, versatile ed utile innanzi tutto per le moderne cacce inglesi in battuta, ma genericamente utile per altre cacce anche di altri Paesi.
Situazione Attuale. Abbiamo osservato l’evoluzione nell’ultimo secolo dei ceppi identificati come ESS, e che quindi comprende sia il “pure-bred” che oggi calca le esposizioni, che il “field-bred” che calca invece le prove.
Parallelamente abbiamo considerato le altre 2 nostre razze (in forma esclusivamente “purebred”), il Cocker ed il Welsh, ben conosciuti nelle esposizioni e spesso utilizzati con profitto a caccia, ma virtualmente scomparsi dai Field-Trials inglesi.
Qui è doverosa una importante precisazione. In questi Field-Trials esiste pure una categoria riservata ai Cockers. Però ben difficilmente un vero Cocker partecipa e soprattutto vince questa categoria. Quelli che la calcano sembrano essere, nella stragrande maggioranza, dei recenti meticciamenti senza alcuna continuità storica, che appunto traggono la “vena” principale di sangue dal “field-bred” dell’ESS.
Diverse importazioni nel tempo hanno portato in Italia un discreto lotto di questi “variopinti” soggetti, che in genere poco hanno prodotto in termini di continuità allevativa, ma che (anche per questo) hanno invece convinto di uno status che non può certo essere assurto a razza, anche perché soggetti di queste caratteristiche sono facilmente ottenibili accoppiando il “fieldbred” springer con un unicolore che solo abbia le sembianze del Cocker: ci è peraltro più facile immaginarne un utilizzo a fini squisitamente agonistici, piuttosto che la rispondenza ad una qualsiasi validità cinotecnica; oltretutto da un punto di vista dell’operatività sono assimilabili ai “fieldbred” ESS di non particolare qualità, cosa che gli ha pure fatto guadagnare il poco edificante appellativo di “surrogati”. Piuttosto meraviglia che ci siano diverse persone che li portano sulle prove e che diversi Esperti Giudici Enci facciano “buon viso a cattivo gioco”, addirittura attribuendoli certificazioni ad un campionato che poi, per ovvi motivi, sarà necessariamente impedito da una per quanto benevola valutazione morfologica in esposizione. E’ sentimento comune (almeno di coloro che hanno un certo grado di sensibilità cinofila) che, anche per limitare i potenziali rischi di inquinamento genetico, da parte dell’ENCI non si dovrebbero procrastinare oltre i provvedimenti del caso, portando opportuni correttivi a questa anomala situazione.
Chiusa questa lunga ma importante parentesi, torniamo ora ad esaminare le più proprie forme “purebred” di Cocker e Welsh.
Da un punto di vista operativo e morfo-funzionale queste razze presentano alcune significative differenze, le quali a loro volta ci saranno utili per meglio capire il nostro ESS sia nella versione “fieldbred”, che soprattutto in quella “purebred” (in ogni caso, faremo riferimento a soggetti di alta qualità operativa).
Il Cocker si rileva un formidabile cacciatore, molto “istintivo” e finanche cocciuto nella sua insistenza a lavorare a fondo qualsiasi pista che possa fargli solo intuire di poter palesare un selvatico. In stretta relazione alla sua morfologia ed alla sua psiche, fa della meticolosità e della cerca “brulicante” ad un tempo la sua arma più efficace per palesare anche quei selvatici che soggetti di razze più veloci sarebbero portati a trascurare, ed al tempo stesso la sua principale caratteristica di tipicità operativa. Così come tipicissima è la sua ancor maggior compressione di un tronco già in sé raccolto ed un frenetico movimento di coda nelle occasioni di contatto con il selvatico: la presa di punto ed il riporto. Quindi un “batuffolo” con una grande passione venatoria, che talvolta potrebbe spingerlo alla indipendenza; solo la sua mole contenuta abbinata al sistema di cerca, e quindi la velocità relativamente ridotta, permettono al cacciatore di mantenere un contatto che in emanazione potrebbe rivelarsi spesso difficile, se non fosse aiutato dai terreni tipici relativamente agevoli. Quando però su una fresca passata sparisce dentro un macchiaio inaccessibile all’uomo, potrà poi palesare il selvatico fuori tiro incurante di ogni richiamo: anche questo è il Cocker.
Il Welsh, dal canto suo, è un lavoratore dalla cerca non particolarmente veloce. Ha maggior mole rispetto al Cocker, ed è un serio, concreto ed efficiente lavoratore. Non ha l’irruenza dell’ESS, né la strabordante “fame” di selvatico del Cocker. E’ però il lavoratore di gran metodo, che esplora il terreno con intelligenza e discernimento. Rispetto al Cocker, molto più spesso può assumere andature diverse dal galoppo (tanto che il trotto o trotto-galoppo è ritenuta la sua normale e tipica andatura), ma che comunque gli permettono di coprire più terreno in ragione della sua maggior mole. E’ insomma il prototipo di un cane da caccia che parte con un passo all’inizio della giornata, e con lo stesso termina alla fine, dosando in maniera esemplare le energie. Le quali non vengono nemmeno sprecate in occasione dell’incontro del selvatico, dove l’intelligenza ed il discernimento prevalgono comunque sulla passione, concretizzandosi in una risoluzione in “filata” e più “prudente”, cioè meno irruente e meno “cattiva”. Il Cocker al contrario in questa occasione tende addirittura a perdere la sua dolce espressione, assumendone una finanche un poco “spiritata”, preda di una strabordante eccitazione, che può anche fargli emettere qualche scagno nella imminenza e/o concomitanza dell’incontro: ma questa, come altre caratteristiche peculiari di razza, è motivo di squalifica ai Field-Trials inglesi!! (E dove per contro ed assurdità nessuna attenzione è invece posta alla “purezza” genetica!).
Eccoci giunti ad analizzare le caratteristiche delle tipologie dell’ESS, strettamente relazionate alle morfo-funzionali ed alle operative. Iniziamo con 2 definizioni (fondamentali) indicate nel preambolo dello Standard, che ci dicono che l’ESS è: 1) ”Highest on legs”, 2) “raciest in build” – di tutti i “british land spaniels”.
Abbiamo visto che oggi l’ESS comprende 2 tipologie, il “purebred” ed il “fieldbred”, alquanto diverse fra loro dal punto di vista psico-morfo-funzionale, certamente più di quanto non lo siano come impiego. Paradossalmente, oggi nessuna di queste 2 tipologie soddisfa contemporaneamente i 2 preamboli dello Standard: il “purebred” è sicuramente il più alto sugli arti, ma non certamente il più “racy”, mentre molti moderni “fieldbred”, ancor relativamente bassi sugli arti sono addirittura fin troppo “racy”. Vale la pena soffermarsi sul termine “racy”, non direttamente traducibile, ma che sta appunto ad indicare “tonico” ed “atletico, “asciutto” e “nevrile”: per assonanza con i cavalli, che rende bene l’idea, il purosangue inglese è il più “racy” fra tutte le razze di cavalli.
Dicevamo quindi che il moderno Springer da esposizione (inglese) è spesso tutt’altro che “racy”, robusto e di sostanza magari sì, ma non certamente “raciest in build of all british land spaniels”. Problema sicuramente più evidente fra i maschi che non fra le femmine, questo particolare sembra fondamentale per giustificare il calo di prestazioni insito in queste moderne linee di sangue. Se prendiamo invece le foto dei campioni di bellezza della prima metà del XX secolo, l’idea del “raciest” può essere facilmente rappresentata, anche confrontandole con quelle di spaniel di altre razze. In origine questa tipologia legava infatti le buoni prestazioni operative ad una significativa mole (intorno 50 cm di altezza ed oltre 20 kg di peso), ma comunque con una costruzione relativamente “racy” che assicurava quella giusta e necessaria nevrilità, pur non eccessiva da comprometterne la tipica e dolce espressione.
Sul versante opposto, quello dei “fieldbred”, le considerazioni possono essere esattamente le stesse ma in forma contraria: è infatti storicamente certo che i ceppi più importanti che hanno contribuito a questa tipologia fossero costituiti da spaniel bassi sugli arti e lunghi di tronco, e relativamente massicci, più analoghi (anche geneticamente) ai Field ed ai Sussex che non ai “raciest” Springer di pura origine. Tutt’oggi queste linee producono alcuni soggetti alquanto massicci e possenti, e certamente atleticizzati in forma esponenziale tanto da avere espressioni così “spiritate” (comuni queste a tutta la tipologia) da denunciare una nevrilità ed una atleticità notevolmente più spinte della parallela linea “purebred”, la quale è invece caratterizzata da una attenta ma dolce espressione. Gli sforzi selettivi nel “fieldbred” ne hanno quindi portato una sempre maggior atleticizzazione, sicuramente “aiutata” dalle immissioni del Setter e soprattutto del Border Collie, determinante quest’ultimo per la grande recettività di addestramento che caratterizza le moderne linee (tipo Saighton e Rytex). Allo stesso tempo, tali infusioni possono aver determinato la maggior correttezza di appiombi e soprattutto quell’”alleggerimento” sia di taglie che di ossature che molti soggetti, se non intere linee, oggi sempre più manifestano, ed un aspetto più “gradevole” soprattutto nei soggetti di taglia più grande.
Non crediamo di essere lontani dal vero, affermando che la tendenza “raciest” dei moderni “fieldbred” (in particolare quando sfocia nelle piccole taglie e nelle ossature leggere), possa essere considerata come una vera e propria degenerazione di tipo nei confronti dei ceppi originari, oltretutto legata alle immissioni impure: per rendere il concetto, basta confrontare le caratteristiche operative di un Cocker puro, con quello atleticizzato ottenuto dall’ibridazione con un alleggerito “fieldbred” ESS (cioè con uno che oggi corre i Field-Trials). Nello stesso modo (in termini di degenerazione) va pure considerata la tendenza contraria dei moderni “purebred” (in questa tipologia l’”appesantimento” è legato ad immissioni di linee diverse da quelle originarie dei Boughey e dei Caistor, quindi impure, legate alla ricerca di teste più importanti e di maggior sostanza complessiva).
In particolare l’”alleggerimento” dei “fieldbred” sembra volto ad una iper-specializzazione la quale fornisca le maggiori prestazioni ai Field-Trials, sia in termini di facilità nel gestire l’ausiliare, che di brillantezza e quindi “piacevolezza” di movimento. Tali forme esasperate si manifestano con soggetti che presentano un’andatura di costante e sostenuto galoppo, e che sono poi incapaci di mantenere l’efficienza non solo alle altre andature, ma allo stesso galoppo quando questo sia semplicemente moderato: tale caratteristica viene in genere evidenziata in forma indirettamente proporzionale alla taglia (cioè è maggiore nei soggetti più piccoli). Sembra superfluo rilevare che tutto questo, per quanto esteticamente piacevole ed apprezzato ai Field-Trials, sia oltre una certa misura deleterio ai fini di un impiego più generalistico cui la razza è logico e tipico possa essere adibita.
In ultima analisi la cerca del moderno “fieldbred” risulta alquanto distante ad esempio da quella del Cocker, con la testa portata prevalentemente più o meno alta nel vento, al fine di tessere un incrocio sistematico sul terreno innanzi al conduttore che lo porta a trascurare le piste che non siano freschissime, e che si traduce in una ricerca alquanto meccanica del selvatico attraverso la sistematica battitura del terreno, e che quindi porti ad “impattarlo” di vento od anche fisicamente. Questo sistema di cerca, sia pure il più efficace nel limitato tempo a disposizione per il Field-Trial, evidenzia i suoi limiti di validità in ambito puramente venatorio e comunque fuori dalla caccia in battuta, oltre a tradire attitudini e caratteristiche talvolta più vicine al Border che non allo Spaniel: sarebbero certamente molte le effimere piste che un meticoloso e puro Cocker potrebbe intercettare e che potrebbero portarlo a palesare un selvatico che si trovi al di là dei rigidi limiti spazio-temporali imposti dal Field-Trial. Inoltre la concentrazione del “fieldbred” sarà maggiormente rivolta al collegamento e ad esaudire le indicazioni del conduttore che non alla ricerca di una traccia che richieda quella attenzione e quella concentrazione che solo il cocciuto Cocker sa mantenere (e per quest’ultimo più consona anche in termini di tipicità operativa). Queste differenze molte volte si concretizzano nella perseveranza e nella quantità di tempo impiegata a “lavorare” le emanazioni: il “fieldbred” difficilmente “lavora” una pista non fresca per più di un minuto (anzi generalmente la ignora del tutto), mentre un Cocker puro può attaccare una pista non fresca e “lavorare” il selvatico anche per più di 10 minuti prima di “dipanare” l’emanazione e riuscire a palesarlo. In pratica, il lavoro su piste e passate, nel “fieldbred” è più simile a quello di un cane da ferma avventatore, mentre in un Cocker puro può risultare simile a quello di un segugio: tanto che molte volte queste differenze si possono evidenziare proprio sul lavoro su lepre.
La tipologia “purebred” dell’ESS, nella sua forma originaria, discendeva la sua operatività dalle caratteristiche psichiche e morfologiche ancora scevre della esasperata selezione che in un settore è riuscita a produrre un ben poco racy “soprammobile” da esposizione, e nell’altro un simil-avventatore e battitore sistematico di terreno.
La cerca in questa tipologia può essere in parte paragonata a quella del Welsh, sia pure con una maggior dinamicità di andatura, una maggior irruenza di movimento e la predisposizione ad una ben più decisa ed efficiente esplorazione del folto, ma certamente più vicina a questa razza che non al moderno “fieldbred”. In particolare le caratteristiche fisiche dell’ESS lo portano ad essere lo spaniel di terra che esplora una quantità maggiore di terreno, ed allo stesso tempo ad essere quello che affronta con più facilità i folti coperti (in verità queste caratteristiche sono comuni ad entrambe le tipologie, nei soggetti di taglia consona). La vera differenza fra di esse sta nel modo in cui questo terreno viene esplorato: come abbiamo visto, il “fieldbred” ha una attitudine più sistematica di battitura del terreno badando poco alla “spesa energetica”, mentre il “purebred” ha atteggiamenti più vicini al Welsh, quindi più “risparmiosi”, e con più discernimento che irruenza, utilizzando talvolta andature che non sono il galoppo (peraltro mai spinto quanto il “fieldbred”) alle quali mantiene comunque relativamente alta l’efficienza (se non superiore sulle piste labili, tendenzialmente ignorate dal “fieldbred”). Altra differenza, spesso evidente nei soggetti giovani, è la “maturazione” della cerca che avviene in tempi e modi diversi: il “fieldbred” in pratica “nasce” con una cerca compiuta (cioè già alle prime uscite si metterà, solo rigorosamente al galoppo, a correre ed incrociare più o meno sistematicamente il terreno, e solo successivamente abbinerà questa “esplorazione” alla presenza/ricerca del selvatico), mentre nel “purebred” (anche Cocker) il sistema di cerca maturerà (evolvendo dal trotto al galoppo) parallelamente allo sviluppo dell’interesse sul selvatico, in quanto il cane sarà primariamente a questo interessato, e quindi svilupperà la cerca solo in quanto “realizzerà” che è attraverso questa che può incontrare il selvatico (e quindi anche i tempi di “maturazione” saranno diversi).
Il lavoro in acqua esalta poi questa tipologia, nella misura in cui il “fieldbred” ne viene invece svantaggiato in ragione di una taglia e soprattutto di arti di relativa minor lunghezza. E, come detto, maggiore è l’attitudine a lavorare ed a perseguire le piste anche relativamente labili, finanche in relativa autonomia (nella solita logica di paragone avventatore/segugio). Sotto questi aspetti il “purebred” di buona qualità ha caratteristiche che si avvicinano a quelle del Cocker, per quanto mantenga una maggior gestibilità ai comandi.
Per quanto riguarda invece il contatto con il selvatico, la presa di punto ed il lavoro su piste fresche, entrambe le tipologie dovrebbero tendere ad un simile atteggiamento, e qui conta molto anche il grado di istinto “spaniel” posseduto: il “fieldbred” di vecchia selezione tenderà ad assumere il comportamento tipico anche del Cocker molto più di quanto invece non farà quello di una moderna linea in cui le caratteristiche sono maggiormente condizionate dalla selezione sulla ricettività di addestramento, magari anche in termini di presenza di “sangue” e comunque “mentalità” Border.
A margine di tutto, va però rilevato che un buon “purebred”, sapientemente preparato per le prove, assumerà anche un metodo di cerca che non differirà molto da quello del “fieldbred”, in quanto questa verrà protratta ad una andatura alquanto sostenuta e con un portamento di testa più alto che quindi lo porterà a trascurare maggiormente le emanazioni a terra (in questo caso finanche più del “fieldbred”, in quanto la testa si troverà ad una distanza da terra relativamente maggiore a causa di ragioni anatomiche). La maggior mole lo porterà molte volte a coprire più terreno rispetto al “fieldbred”, con un’andatura senz’altro più lineare. E’ infatti dal punto di vista stilistico che si noteranno le maggiori differenze, in quanto questo sarà influenzato da morfologie fra loro diverse: in particolare il “fieldbred” mostrerà un galoppo molto più “radente” (dovuto alla anatomica maggior bassezza sugli arti ed anche alla sua minor altezza), quindi con maggiori cambi di direzione e “serpeggiamenti”, maggior reattività legata alla taglia più ridotta (soprattutto nei limiti inferiori), maggior elasticità al segmento lombare in ragione di una maggior lunghezza di tronco, il tutto legato anche ad arti maggiormente angolati. In emanazione entrambi dovranno cambiare di marcia e “schiacciarsi” a terra: sempre per ragioni anatomiche e di andatura entrambe queste caratteristiche risulteranno mediamente più evidenti nel “purebred”. A quest’ultimo una mole maggiore ed una maggior escursione sugli arti faciliterà anche il lavoro del folto, che potrà essere affrontato in maniera meno “traumatica”, cioè non così di impatto e di impeto come invece ragioni anatomiche, di taglia ed anche psico-fisiche legate alla necessità di mantenere il più possibile il galoppo, andranno invece a sfavorire in una certa misura il “fieldbred” (fra le 2 tipologie, è ad esempio molto più facile vedere un soggetto di quest’ultima uscire da un roveto in una maschera di sangue, senza che con questo migliori l’efficacia di esplorazione rispetto all’altra tipologia, che più difficilmente riporterà danni così evidenti).
Infine, sempre nel contatto con il selvatico, altra caratteristica importante è l’espressione e l’atteggiamento che lo spaniel assume quando entra in contatto con la sua emanazione (Cocker in primis perché aiutato dalla taglia ridotta, ESS “purebred”, ed a volte alcuni “outcross” fra ESS “purebred” e “fieldbred” – quelli che prendono la maggior “nevrilità” e la taglia ridotta dal “fieldbred”, e la tipicità dal “purebred”). Infatti oltre al “cambio di passo”, la flessione sugli arti e la compressione “brulicante” di testa/tronco, i soggetti più tipici assumono quel particolare e tipicissimo movimento “brioso”, che potrebbe essere paragonato a “brividi” che percorrono un corpo che “freme” sotto l’”orgasmo dell’emanazione”, partendo il tutto da un frenetico movimento pendolare verso il basso della coda, con il rene e la groppa che, formando un arco, “accorciano” e “comprimono” il cane stesso (caratteristiche però diverse dal Welsh, un po’ via di mezzo con il Setter, che “fila” morbidamente pur con la coda in movimento relativamente brioso).
Conclusioni. Le conclusioni e le indicazioni che potremmo trarre da queste analisi, soprattutto in funzione della ricerca di parametri migliorativi delle 2 tipologie dell’ESS, indicano che una maggior rispondenza allo Standard potrà permettere la correzione di quei fenomeni degenerativi sia di tipo che di efficienza che qualche preoccupazione dovrebbero pur porre fra gli “addetti ai lavori”.
Innanzi tutto, da un punto di vista psicologico, dovrebbe essere posta in entrambe le tipologie maggiore attenzione alle attitudini venatorie evidenziate nel “contatto con il selvatico” piuttosto che alla “voglia di correre”: sicurezza nella presa di pista e risoluzione, atteggiamento tipico che evidenzi questo contatto cambiando marcia e “schiacciandosi” a terra, ed attitudine al riporto sono infatti qualità basilari e ben più importanti di un movimento esteticamente piacevole o di una vittoria su una gara.
Poi, in particolare, nella tipologia “purebred” sembra fondamentale la ricerca della efficienza operativa, nel rispetto delle caratteristiche di razza (sarebbe ad esempio insensato andare a ricercare la “radenza di movimento“ fuori emanazione, negata dall’anatomia più tipica della razza, per quanto esteticamente affascinante possa essere), e porre la ricerca del “racy” nella misura corretta in cui questo costituiva un fondamentale parametro di distinzione di razza nella prima parte del XX secolo (e ben riscontrabile in ogni campione di bellezza di quel periodo). In stretta relazione, abbondanza di pelle, scarso pigmento e teste importanti con poco cesello e troppo “squadrate”, dovrebbero essere osservate con preoccupazione quali evidenti segni degenerativi, e non esaltati a “bellezza” da ring. Una particolare attenzione dovrebbe essere pure posta alla scioltezza del movimento (sul terreno di caccia!) e ad una efficace ed elastica spinta del posteriore, che risulta oggi uno degli aspetti più compromessi dalle andature “trotterellanti” da ring.
Al contrario in quella “fieldbred”, oltre alla ovvia attenzione ai difetti insiti in questa tipologia (rachitismo, depigmentazione, nanismo ecc.), le considerazioni sopra enunciate ci pongono nella perplessità che queste linee di sangue possano essere ancora considerate “springer spaniel inglesi”: tanto varrebbe, forse, lavorare per il riconoscimento di una ulteriore razza spaniel?
Va peraltro rilevata la tendenza alle prove, da parte di molti Esperti, di penalizzare uno springer aderente allo Standard, in quanto stilisticamente diverso dai “fieldbred”. In questa sede vorremmo quindi ribadire che una tale discriminazione non risulta accettabile dal momento in cui un “purebred” svolga una confacente prestazione operativa, ed esprima in questa uno stile che, per sole ragioni anatomiche, differisca da quello dei “fieldbred” (quindi si presume che abbia una psiche Springer ed un’adeguata nevrilità). Questo punto deve essere considerato fondamentale, in quanto, dal punto di vista stilistico, non si possono applicare ai “purebred” i criteri di valutazione dei “fieldbred”, in quanto le differenze di costruzione si riflettono inevitabilmente su quelle meccaniche, e queste differenze saranno tanto più ampie quanto più piccola sarà la taglia dei “fieldbred” cui viene fatto riferimento (ribadiamo peraltro che la riduzione di taglia deve essere sempre considerata una degenerazione). In definitiva vogliamo stigmatizzare la incongruente penalizzazione dello stile dello springer “purebred” dall’operatività ineccepibile, la taglia di circa 51 cm, e relativamente corto di tronco ed alto sugli arti (peraltro moderatamente flessi – notare le foto qui sotto), perché lo Standard (il quale è primariamente Funzionale, e quindi deve avere un valore di riferimento assoluto) indica un tipo di costruzione comunque più simile a questa che non a quella del “fieldbred”: quindi la penalizzazione aprioristica della meccanica prodotta dalla suddetta costruzione non può essere ritenuta tecnicamente né corretta, né accettabile, essendo il rispetto dello Standard una assoluta priorità e il primo dovere del corpo giudicante (in esposizione come in prove di lavoro).