Sembra non esserci fine alla crudeltà dell’uomo nei confronti dei nostri amici a quattro zampe. Dopo i tristi episodi delle scorse giornate, che vedono protagonisti poveri cani avvelenati da bocconi mortali, adesso la sconcertante storia di due pelosi sardi trovati impiccati a un albero. Non si tratta solamente di randagi. Vittima di questo gesto ingiustificabile è, anche, una beagle gravida, smarrita o forse rubata lo scorso settembre a un uomo originario di Murta Mariam, nei pressi di Olbia. Proprio qui, in un terreno di via San Severino non lontano da via Vittorio Veneto, il macabro ritrovamento: due poveri cani a penzoloni, impiccati a un albero con un filo di nylon molto simile a quello che serve per stendere. Si tratta per l’appunto della beagle e di un cane nero, probabilmente randagio perché sprovvisto di microchip. Dalle crude immagini pubblicate dall’agenzia di stampa GeaPress, sembra proprio che quest’ultimo abbia lottato fino alla fine per liberarsi dal cappio al collo. I suoi occhi sono atterriti e i suoi denti stretti. La cagnolina, invece, sembra essersi abbandonata più facilmente alla stretta della morte, assieme ai cuccioli che portava in grembo. Questa l’orrenda scena che si è presentata ieri, verso ora di pranzo, a un uomo che stava portando a passeggio il proprio amico a quattro zampe, che proprio in questa zona qualche settimana prima era stato impallinato. Secondo quanto riportato dall’Unione Sarda, il sospetto della polizia locale sarebbe quello di una banda spietata che cattura i cani, non solo quelli randagi, e poi li tortura. Adesso sarà il veterinario ad accertare se sui due poveri cani ritrovati ci siano effettivamente, anche, segni di tortura. L’accaduto ha indignato e sconvolto moltissimi, prima di adesso non era mai accaduto nulla del genere nella zona. «Ora, però, non prendetevela con i sardi. Io – dice a GeaPress Cosetta Prontu della LIDA di Olbia – vivo in Sardegna e lotto assieme a tanti altri della mia regione. Gente indignata che ha condannato il gesto e che purtroppo, in questi casi, vede l’intera Sardegna messa sul rogo da gente che non ci conosce. Non si può condannare un popolo per il gesto assassino di una o più persone. Faremo un torto non solo ai sardi – conclude – ma anche alla nostra attività in difesa dei randagi». Cosetta Prontu precisa anche: «Il gesto di uccidere è lo stesso, per uomini e per animali. Non vedo differenza, ma non vogliamo rendercene conto.